di Paolo Neri

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La nostra storia inizia tanto tempo fa, quando un certo ingegner Bayard rivolgeva ancora le sue attenzioni imprenditoriali ai ponti che andava costruendo in Francia, eppure racconterà di ferrovie. Siamo negli anni 1833-34 e "sulla spinta della nascente meccanizzazione che andava investendo l'industria tessile" un certo Lorenzo Zino - proprietario di una fabbrica di tessuti a Carnello, sulle acque del fiume Fibreno - ravvisò la necessità di produrre in proprio i pezzi di ricambio necessari per i suoi telai. Fu così che si associò al professore meccanico François Henry - venuto a Napoli da Parigi per l'installazione e la condotta delle macchine tessili acquistate in Francia ed insieme aprirono una piccola fabbrica di parti meccaniche che ubicarono nelle grotte di Capodimonte a Napoli. Era nata la società Zino ed Henry, primo seme di un grande albero i cui rami dovevano giungere a toccare i nostri giorni. La qualità dei loro prodotti richiamò presto commesse da parte di clienti che, evidentemente, si trovavano nella medesima situazione iniziale dello Zino ed addirittura la fabbrica iniziò a produrre in proprio macchine tessili copiate da quelle provenienti dalla Francia.

 

Opificio Zino & Henry al Ponte della Maddalena, officina dei torni

(da "Poliorama Pittoresco" del 27 luglio 1839 - coll. A. Gamboni).

 

Opificio Zino & Henry al Ponte della Maddalena, fonderia

(da "Poliorama Pittoresco" del 27 luglio 1839 - coll. A. Gamboni).

La quantità del lavoro fece si che lo stabilimento dovette essere ingrandito e nei 1838 le attività si trasferirono al Ponte della Maddalena, presso i Granili a sud di Napoli, ove si poté diversificare la produzione tanto da affrancare le richieste delle varie industrie napoletane dalle fabbriche inglesi e francesi che, fino ad allora, erano le sole capaci di soddisfarne le necessità. Il "Poliorama Pittoresco", periodico napoletano dell'epoca, nel 1836 e nel 1839 pubblicò due particolareggiati articoli sulla "Fonderia di ferro e costruzione di macchine per le arti industriali dei signori Zino, Henry e C. al Ponte della Maddalena" e da essi apprendiamo che più di 150 dipendenti avevano contribuito a costruire macchine da 6 a 10 cavalli vapore, la grande ruota idraulica in ferro per la fabbrica reale delle armi di Poggioreale, 38 presse idrauliche per l'estrazione dell'olio e per la fabbricazione dello zucchero, torchi per il conio di bottoni e medaglie, macchine per trebbiare il grano ed aratri, le due ringhiere circolari di ferro da porre all'interno del tempio di San Francesco di Paola (ubicato nell'odierna Piazza del Plebiscito di Napoli, proprio di fronte al palazzo reale, la sua costruzione fu ultimata nel 1846), nonché tutte le griglie da porsi nel pavimento e molti candelabri dello stesso edificio. In quel tempo (1842) l'impresa di Zino ed Henry fu autrice di una straordinaria realizzazione. Era in costruzione la Regia Strada Ferrata ed il tratto da Napoli ad Acerra era già stato completato. Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie un po' amante delle novità tecniche ed un po' curioso, espresse il desiderio di percorrerlo e si può immaginare l'agitazione dei responsabili della ferrovia e la loro ansia di accontentare il Sovrano: vetture idonee a tanto trasporto ancora non ne esistevano ed ecco intervenire Zino ed Henry.

Presso il loro stabilimento erano in giacenza ruote, assi, balestre ed in breve tempo fecero il resto. Il vagone fu costruito e per la modica spesa di 400 ducati (circa una decina dei nostri milioni) il desiderio del Sovrano poté essere esaudito. In fondo la cosa era stata possibile perché la fabbrica del Ponte della Maddalena già possedeva esperienze in campo ferroviario, avendo lavorato per conto della ferrovia Napoli-Nocera del Bayard. Un sensibile impulso fu dato allo stabilimento dall'entrata in scena di Gregorio Macry, calabrese ed ingegnere mancato ma abile uomo d'affari che rilevò la partecipazione dello Zino, a saldo di un suo credito. La ragione sociale divenne, dal 1° luglio 1855, Macry ed Henry.

Gli ultimi anni del Governo Borbonico videro lo stabilimento in piena attività: occupava 12.000 mq. di superficie, possedeva una macchina a vapore di ben 20 cavalli ed attrezzature di ogni genere tra le più progredite dell'epoca. I suoi 550 operai erano in grado di costruire di tutto, dalle macchine di piccola potenza fino alle locomotive, ponti, tettoie e pezzi di qualsiasi meccanismo.

Forse fu questo il periodo più dinamico che l'azienda ebbe la ventura di attraversare.

Pianta dell' Opificio Zino & Henry al Ponte della Maddalena

(da "Poliorama Pittoresco" del 27 luglio 1839 - coll. A. Gamboni).

Con l'unificazione dell'Italia venne meno la protezione daziaria con la quale il Governo borbonico aveva sempre salvaguardato l'industria siderurgica e ciò fu causa di crisi per tutte le fonderie. In seguito a questa situazione la Macry, Henry e C. dovette cedere la sua ragione sociale alla Società Nazionale d'Industrie Meccaniche di Napoli, in cambio di azioni per 900mila lire. A questo punto la nostra storia si avvia ad assumere una fisionomia più ferroviaria, si ramifica, si articola toccando altri settori che, come annunciato più sopra, dovendo far si che essa potesse giungere in qualche modo fino a noi.

Era stato inviato a Napoli nel 1861, per conto del nuovo Governo nazionale, l'ingegnere Sebastiano Grandis con il compito di studiare le officine di Pietrarsa e suggerirne una migliore utilizzazione. Egli concluse la sua missione con la sentenza della convenienza dello Stato di passare quel glorioso impianto all'industria privata. Il verdetto non fu accettato nell'ambiente napoletano e la vendita non risultò possibile. Tralasciando vari particolari sulle vicende dello stabilimento di Pietrarsa, arriviamo al 1863 quando esso fu dato in fitto per la durata di 20 anni alla citata Società Nazionale d'Industrie Meccaniche: da quel momento i Granili e Pietrarsa saranno sempre associati, nella buona e nella cattiva sorte. I due stabilimenti furono collegati tra loro, mediante raccordi, al tratto ferroviario Napoli - Portici e questo costituì un'ulteriore vantaggiosa circostanza. All'officina dei Granili fu concentrata la fonderia, l'opera dei calderai, la pittura dei vagoni, la costruzione di macchine agricole e di varie macchine motrici ed industriali. Prima di affidare l'officina di Pietrarsa alla Società Nazionale d'Industrie Meccaniche, il Governo aveva vagliato le potenzialità di quest'ultima e dai rapporti ricevuti era emersa la serietà dell'intera Società in generale ma anche il valore dell'officina dei Granili per il credito che aveva sempre riscosso da una vasta clientela per l'accuratezza dei lavori eseguiti, tra i quali ci piace citare quasi tutte le parti metalliche d'armamento delle ferrovie Napoli - Nocera e Napoli - Capua e tutti i ponti per la ferrovia romana, le locomotive per la ferrovia Napoli - S. Severino, caldaie marine a vapore, molini, macchine agricole, lavori vari in ghisa per la prima officina del gas di Napoli, gru idrauliche per ferrovie, un intero bastimento mercantile ed ancora, per gli appassionati di Napoli, la cassa armonica della villa Comunale e fregi in ghisa per la colonna di piazza dei Martiri. Il gemellaggio durò fino al 1877 e purtroppo non fu felice per la scarsezza di liquidità dovuta principalmente alla decurtazione di capitale sociale conseguente proprio all'acquisto dei Granili, cosa questa che procurò difficoltà per le insufficienti spese d'investimento e d'ammodernamento degli impianti. A ciò si aggiunse lo scoppio della 3a guerra d'Indipendenza nel 1866 che produsse l'aumento di prezzo dei metalli importati e l'epidemia di colera a Napoli che indisse gravi lutti alla vita cittadina. Comunque, nei 14 anni di vita, la Società riuscì almeno a tener alto il suo nome in mostre nazionali ed internazionali e, quel che più conta, procurò i mezzi di sussistenza per migliaia di operai in essa impiegati. Coerenti con quanto proposto, vogliamo evidenziare che, in questo periodo, allo stabilimento dei Granili fu affidato il compito di costruire veicoli ferroviari in tutte le loro parti (Pietrarsa costruì le locomotive) e dai dati disponibili si ricava che furono realizzati 1948 carri e 291 vetture, raggiungendo una produttività media di ben tre vagoni al giorno.

Tralasciamo l'elencazione di quanto fabbricato per la Marina, per lo Stato in genere, per i privati.

La crisi finanziaria tuttavia fu implacabile, tanto da portare la Società quasi al fallimento. Per la salvaguardia dei posti di lavoro intervenne lo Stato che nel 1877, avocando a sé la gestione e liquidando la Società, creò un'azienda governativa con ragione sociale "Stabilimento d'Industrie Meccaniche di Pietrarsa e Granili". Grandi furono gli sforzi della Direzione per risollevare l'azienda. Tra i provvedimenti più importanti si rilevò di primaria necessità quello di conferire specializzazioni ai due opifici, rinunciando alla varietà dei prodotti e dedicandoli al solo materiale ferroviario, con reali vantaggi in termini di riduzione dei costi generali. Per completezza, ma nei limiti delle informazioni dedotte, si vuol evidenziare che nel periodo dal 1877 al 1885 furono costruiti ai Granili altri 845 carri e 280 vetture ferroviarie. Si giunse così ad un altro capitolo della storia dello stabilimento dei Granili; con legge del 27 aprile 1855 furono stipulate le convenzioni Ferroviarie e Pietrarsa ed i Granili passarono alle dipendenze della neo-costituita Rete Mediterranea con compiti di riparazione del materiale rotabile e di sistemazione e miglioramento dei relativi impianti. Il passaggio fu burrascoso perché sia il Parlamento che una violenta campagna di stampa volevano che i due impianti fossero dismessi e passati all'industria privata: così non fu. Il Governo fu largo di appoggi e l'officina dei Granili poté essere ampliata di 17.000 mq., furono costruite nuove tettoie per le lavorazioni dei veicoli, furono rinnovati gli uffici, i magazzini ed i forni che, ampliati, poterono eseguire fusioni in bronzo e ghisa per l'intera rete ferroviaria; per altri 20 anni la valentia dei cinque dirigenti che si susseguirono e la laboriosità degli operai napoletani consentirono la ripresa delle due officine ed un loro ritorno all'antica efficienza. Con legge del 22 aprile 1905 lo Stato Italiano assunse in proprio l'esercizio delle linee ferroviarie e con successiva legge del 15 luglio 1906 riscattò quelle gestite dalla Rete Mediterranea, così le officine dei Granili e di Pietrarsa passarono sotto l’amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Ai Granili si continuarono a riparare veicoli e sale montate, nonché a provvedere a getti di ghisa e di bronzo.

Piazzale dell'Officina dei Granili (foto FS).

Da questo momento le vicende da noi raccontate scorrono, è il caso di dirlo, su un binario ben definito. La prima Guerra Mondiale portò, pur se con gli inconvenienti immaginabili, un aumento del lavoro di costruzione e riparazione di materiale rotabile e la successiva crisi del dopoguerra, altrettanto sicuramente, si ripercosse sulle attività dell'Officina. Il rendimento complessivo non era elevato: occorreva migliorare la qualità della produzione, adeguare i metodi di lavorazione rimasti pressoché invariati dopo la cessione della gestione della Società privata, urgeva qualificare le maestranze. Questi problemi, a partire dal 1930, furono studiati dal Servizio Materiale e Trazione delle FF.SS. - dal quale dipendevano tutte le officine di grande riparazione — per conseguire una maggiore economia ed una migliore produzione, attraverso un'organizzazione del lavoro guidata da basi scientifiche. In non più di una decina di anni si ottennero risultati tanto lusinghieri da potersi paragonare a quelli raggiunti da altre Nazioni, ed anche superarle. L'officina dei Granili fu definitivamente specializzata nella riparazione delle moderne "Littorine", di carrozze, bagagliai, carri di qualsiasi specie. Conservò la sua importante fonderia di ghisa e bronzo per la preparazione di pezzi di ricambio sia di locomotive che dei veicoli, anche per conto di officine degli altri compartimenti. Intorno al 1940 la fonderia del bronzo passò ad altro impianto allo scopo di aumentare la produttività di quella della ghisa. Il personale che lavorava ai Granili si dimezzò passando da circa 800 a 390 operai, a dimostrazione di una raggiunta efficienza ed economia del lavoro.

Prospetto principale dell'Officina dei Granili poco prima dell'abbattimento (foto FS).

Per completezza d'informazione si vuol ricordare che, all'epoca, ogni anno venivano mediamente riparate 200 carrozze, 80 automotrici ed elettromotrici, 100 carri, venivano montate 3500 sale per locomotive e veicoli vari, venivano eseguiti getti in ghisa per oltre 600mila chilogrammi. Nell'officina era anche alloggiato l'ufficio collaudi per tutta la circoscrizione da Napoli a Reggio Calabria. Si giunse così allo scoppio della seconda Guerra Mondiale. Enorme fu il contributo che i Granili fornirono alle Ferrovie ma nel 1943 l'esplosione di una nave carica di materiale bellico, avvenuta nel non lontano porto, fece cadere sui tetti delle officine una pioggia di frammenti che provocò seri danni, rendendo impossibile ogni lavorazione. Fu così che molti dei macchinari esistenti furono trasportati in altre officine del nord ed in tali condizioni i sopraggiunti alleati trovarono lo stabilimento, ove tuttavia impiantarono un'attività piuttosto artigianale orientata in favore delle necessità belliche. Al termine del conflitto i Granili erano incapaci di dare un apprezzabile contributo alle ricostruzioni necessarie in tutta la rete ma grazie al massacrante lavoro delle maestranze, che si sacrificarono giorno e notte pur con i reparti danneggiati, si riuscì rapidamente a restaurare quanto possibile ed i Granili offrirono ancora la loro opera soddisfacendo l'esigenza di tutto il centro-sud dell'Italia per quanto riguardava le tradizionali riparazioni di sale montate, di revisione delle carrozze ed i lavori di fonderia. Verso il 1947, risultando impossibile ampliare lo stabilimento per accogliere i nuovo capannoni per il ricovero dei veicoli di maggiori dimensioni approvvigionati per far fronte alle moderne esigenze di trasporto, si ebbe un ulteriore decadimento delle officine del Ponte della Maddalena (e di quella di Pietrarsa, per inciso) i macchinari delle quali non vennero più rinnovati ma solo manutenzionati, finché nel 1966 l'Amministrazione delle FF.SS. prese in considerazione la definitiva chiusura degl'impianti. Ciò avvenne negli anni 1969-70: le officine volute 137 anni prima da Lorenzo Zino avevano compiuto il loro corso e l'ultimo robusto ramo di tanto albero germogliò presso le officine ferroviarie di Santa Maria la Bruna, eredi queste non solo delle lavorazioni meccaniche fino ad allora eseguite ai Granili e Pietrarsa, ma anche di tanta storia. Il frettoloso passante che percorreva fino a qualche anno fa la strada del Ponte della Maddalena poteva scorgere un imponente fabbricato prospiciente la via, ormai abbastanza ingiuriato dalle insidie del tempo e dall'uomo. Poi, quasi in sordina, d'improvviso anche quello è scomparso. Oggi pochissimi automobilisti, irritati dal traffico nella zona, pongono il loro pensiero alle glorie passate, alle migliaia di persone che lì hanno lavorato e sofferto nell'adempimento del loro dovere ma che, per generazioni, hanno tratto sostentamento e vita. Un enorme spazio recintato, pieno di autotreni e moderni containers, non fa pensare o supporre minimamente, a colui che non sa, quanti eventi si sono lì succeduti nel tempo!

L'area occupata un tempo dall'Officina dei Granili come si presenta oggi (foto R. Saccone).

Articolo tratto da ClamFerrovia n. 31, anno VIII, gen – giu 1987

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