di Maurizio Panconesi

 

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Ugo era appena smontato dal servizio nel Deposito di Pistoia: un pranzo frugale, insieme agli altri colleghi, seguito da un “salto” sotto la grande tettoia in ferro della stazione, alla locale edicola, per acquistare il numero fresco di stampa de Il Corriere dei Piccoli da portare ai suoi bambini che lo aspettavano con ansia ogni sabato, lassù tra i monti …

Un fischio, un richiamo alla realtà dopo aver vagheggiato la gioia dei suoi ragazzi alla vista di quel dono tanto atteso … di cui aveva avuto appena il tempo di sfogliare alcune pagine; Ugo saltò sul primo vagone, quello subito dietro la locomotiva, a far compagnia al capotreno, una sua vecchia conoscenza.

Tra uno stridore di rotaie, uno sferraglio di scambi ed il cigolio delle giunture delle vecchie carrozze, il convoglio iniziò la sua marcia in direzione del non lontano Appennino… che lo pareva attendere con la sua mole incombente.

Sul treno, Ugo, da sempre appassionato di musica, mostrò all’amico un piccolo spartito colorato di appena due pagine, acquistato la sera precedente in città, accompagnando il gesto con l’accenno ad un motivetto allegro che faceva: “...Conduttor, ferma il treno per favor …”, anticipando l’ormai non più lontana fermata a cui sarebbe dovuto scendere.

La stazione di Piteccio giunse infatti più rapidamente del solito, forse a motivo della piacevole esibizione musicale davanti al collega.

 

La stazione di Piteccio all'epoca del nostro racconto. A sinistra, il Buffet - Ristorante.

 

Disceso dal treno, una volta che questo fu ripartito, il non più giovane ferroviere si sentì all’improvviso un po’ solo, circondato com’era da quella natura suggestiva ma priva di ogni presenza umana che non fosse stata quella del capostazione … subito però rientrato per le incombenze di servizio all’interno dell’edificio.

Iniziò Ugo la dura salita, rappresentata da un erto sentiero che si snodava tra i boschi e che aveva origine sopra alla stazione, proprio lassù dove aveva termine il lungo binario di salvamento; a rincuorarlo, lui, grande camminatore ma ormai già con parecchi lustri nelle gambe, erano le piccole case della borgata di Castagno - si chiamava così il paesello, circondato com’era unicamente da tale tipo di specie arborea - che non appariva più così lontano come quando lo si vedeva dal basso, dalla stazione, appena scesi dal treno.

 

 

La stazione di Piteccio negli anni '30, al tempo della trazione trifase.

 

Intanto, lo sbuffare di una locomotiva di passaggio il cui fumo si sparse tra i rami del bosco, ispirò ad Ugo la ripresa di quella gaia canzoncina che ne accompagnava ora il passo cadenzato, infondendogli una lena fino a poco prima sconosciuta.

Giunto nel paesino ormai fradicio di sudore, con l’inseparabile giacca sul braccio e la cravatta di servizio allentata, Ugo attese che gli venissero incontro … quella piccola frotta di ragazzi che, già da lontano, lo avevano seguito per scrutare se avesse la consueta borsa di cuoio FS, in cui solitamente celava il “tesoro tanto atteso: a Mario, il più grandicello dei tre, studente di violino, consegnò con fare importante e di circostanza i due fogli dello spartito con il motivetto che, in realtà, era piaciuto soprattutto a lui … per quei suoi riferimenti neppure velati alla ferrovia che tanto amava.

…Ma babbo!” fu l’inevitabile risposta del ragazzo, un giudizio che forse Ugo un po’ temeva e si aspettava, ma in fondo quel motivetto era allegro e si poteva canticchiare anche senza strumenti, magari anche andando per funghi tra i boschi!

Scese lentamente la sera sul borgo a mezza costa sulla collina, ed iniziarono ad accendersi le luci delle poche e povere case, lumi fatti di lanterne a petrolio grandi e piccole, attraverso finestrelle quasi sempre minuscole, tipiche dei borghi di montagna.

Ma c’era un’illuminazione diversa quella sera: nella piazzetta del paese, alcune lanterne cinesi fatte di carta colorata con all’interno una candela, appese ad un filo tirato in diagonale sopra alla piazzetta della chiesa, rendevano l’atmosfera gaia e “speciale”, invitando la gente a ritardare il rientro nelle case per la cena: il vecchio parroco, artefice dell’idea per solennizzare in modo un po’ diverso la festa del paese all’indomani, dall’alto della piccola scalinata del sagrato, anticipò che dopo cena la serata si sarebbe conclusa in allegria, con qualche dolcetto fatto dalla Beppa, la sua perpetua, e tanto per festeggiare, anche con un fiasco di vin santo, di quello invecchiato qualche anno nella cantina di Cecco, il carbonaio che andava ogni anno in Maremma.

Durante la cena, alla fioca luce della lampada, Ugo riferì alla moglie i fatti accaduti in città nel corso della settimana ma, giunto alla frutta, un brusio lungo lo stradello che passava davanti alla casa, incuriosì i bimbi che non riuscendo a trattenersi, scostarono le tendine della finestra: “ … Ma dove vanno? Cos’è successo? Come mai tutta questa gente a quest’ora?

 

Ugo, da buon capofamiglia, si fece sull’uscio di casa, e scorgendo gente e luminarie in cima al paese, immaginò quanto stesse accadendo: “Appena finito il pranzo, andremo anche noi, e porterò dietro anche il mandolino mentre tu, Mario, prendi il violino … non si sa mai!

Percorse le vie del borgo, illuminate dalla luce proveniente dalle lanterne all’interno delle case, la famigliola al completo, mamma Adelaide compresa, raggiunse la piazza della chiesa dove una folla mai vista tra quelle quattro case, si accalcava sui pochi metri quadri di acciottolato.

Mario, dai, suoniamo qualcosa, manca solo un po’ di musica… che ne diresti di quel motivetto simpatico di stamattina … come faceva … Oh conduttor, ferma il treno per favor?

Mario aveva quindici anni ma aveva capito benissimo che suo padre voleva provare il nuovo “acquisto” e si rassegnò all’idea.

 

 

Copertina dello spartito del fox-trot sulla quale è raffigurato il treno storico della Napoli-Portici. La canzone uscì nel 1939, anno in cui si festeggiava il 100-ario della citata ferrovia.

Le note allegre di quella canzoncina senza pretese ma che invitavano alla spensieratezza, andarono via via disperdendosi nella vallata ed in direzione dei ventosi crinali dell’Appennino: incredibilmente, forse trasportati dal vento caldo di quella serata d’estate, penetrarono in altri borghi e sperduti casolari, attraversando le finestre e raggiungendo altri giovani soli, già in procinto di trascorrere una sera come tante altre.

Sull’aia di quelle case, dall’alto, quei ragazzi iniziarono a scrutare la valle alla ricerca dell’origine di quei suoni inconsueti ed ammalianti: un punto colorato nel buio, sperduto tra i boschi ormai in ombra del fondovalle … laggiù, quasi verso la ferrovia, dove probabilmente aveva luogo una festa!

Mario ormai suonava da un pezzo, sotto l’occhio invitante ma a volte anche severo del babbo: sollevando di tanto in tanto lo sguardo dal suo violino, iniziava a scorgere, tra l’oscurità dei monti, piccoli lumi isolati che confluivano poi in rosari colorati, sempre più lunghi, come rigagnoli di un fiume di luce che scorrano verso corsi d’acqua sempre maggiori … fino alla meta: la piazzetta di Castagno!

E così, tra sempre nuove comitive di ragazzi che giungevano, Mario intravvedeva anche giovani montanare dalle guance rosse con cui gli sarebbe piaciuto ballare se … non fosse stato condannato a suonare quel ricorrente motivetto che, insieme a pochi altri, era costretto ad eseguire.

Andò avanti così per qualche ora, fino a quando il piccolo campanile della chiesa rintoccò la mezzanotte, segnale ufficiale atteso dal parroco per porre fine alla festa: un ultimo Tango della Gelosia cui seguì un Tango delle Capinere, ed il ringraziamento ufficiale ai due suonatori, uno solo dei quali era stato vero “volontario”.

Disperse in breve le voci tra le vie acciottolate del paese, ritornato in breve nel silenzio, dopo un breve commento della serata, scese la quiete anche nella vecchia casa di Ugo.

Trascorsa la notte, dopo un sonno profondo, di buon mattino il ferroviere, lasciata la famiglia ancora assopita, ritornò nella piazzetta ora deserta ed incredibilmente malinconica con i suoi festoni ormai bagnati dalla rugiada della notte, imboccando subito dopo la vecchia mulattiera per il fondovalle che l’avrebbe ricondotto alla stazione.

Un fischio lontano laggiù verso il fiume, un pennacchio di fumo, e nella quiete dell’alba iniziò a diffondersi tra i boschi un motivetto che faceva così … “ O conduttor, ferma il treno per favor …”.

 

 

 

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maurizio.panconesi@alice.it

 

 

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