di Andrea Cozzolino

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La trazione elettrica a filo - come veniva definita nel primo ventennio del XX secolo - ebbe in Italia una discreta diffusione (soprattutto nelle regioni del Nord), ma fu caratterizzata da reti assai spesso effimere, la cui durata non superava i quattro o cinque anni. Uniche eccezioni possono considerarsi le filovie de L’Aquila (1909-1924), quella di Cuneo (che, ammodernata, sarebbe arrivata al 1968!), la Alba - Barolo (1910-1919) e la Ivrea-Cuorgné (1908-1935). La scarsa diffusione e/o la breve durata degli impianti cosiddetti “primordiali” ebbe molte cause, tra le quali certamente anche le caratteristiche dei veicoli impiegati, che assomigliavano quasi sempre a vecchi omnibus o diligenze del passato, adattate alla loro nuova funzione.

Il modello realizzato dalla S.T.E. (Società per la Trazione Elettrica) per l’Esposizione Universale di Milano del 1906 “fece scuola”, così come - per la captazione della corrente - l’utilizzo dell’asta unica con carrello a quattro ruotine “sistema Cantono-Frigerio”. Ora, i filobus della S.T.E. o comunque ispirati a quel modello, presentavano (ma non erano i soli all’epoca!) le ruote con gomme piene, le quali - unendosi al fondo molte volte sconnesso delle strade percorse dai filobus - rendevano assai poco gradevole il viaggio in filobus, specialmente su lunghe distanze (es. la Ivrea-Cuorgné superava i 24 km). Di qui la necessità di un significativo ammodernamento.

 

Filobus n. 4 della S.T.E. ripreso durante l’Expo milanese del 1906. A questo modello si ispirarono quasi tutte le vetture messe in servizio in Italia negli anni successivi.

(coll. C. Guastoni)

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“La Fiat è stata la prima in Italia a progettare e costruire filobus. Lo sviluppo preso dai servizi filoviari è dovuto principalmente al progresso tecnico realizzato dalla Fiat anche in questo campo”. Queste orgogliose affermazioni aprono un fascicolo risalente al 1952 (“Le filovie e la Fiat”) che (ovviamente) magnifica le realizzazioni della Casa torinese nel settore filoviario. Ora, di queste asserzioni è certamente vera la seconda, non la prima, visto che sappiamo dell’esistenza delle filovie “primordiali”, le quali cominciarono ad ammodernarsi - per quanto concerne la struttura dei filobus - negli anni ‘20 del XX secolo. Esempio di tale rinnovamento delle carrozzerie è certamente rappresentato da due unità che - numerate 18-19 - assunsero servizio tra Ivrea e Cuorgné nel 1928. Esse - pur mantenendo l’asta unica con carrello per la captazione della corrente - presentavano una diversa e più moderna forma, presumibilmente derivata dalle “vetture automobili” che si andavano diffondendo in quel periodo, ed erano dotate di pneumatici con camera d’aria. Al 1928 risalgono anche le sette vetture destinate alla città di Vicenza costruite da Rognini & Balbo, la nota Ditta produttrice di “elettromobili”, che già dal 1925 aveva trasformato proprio tre autobus elettrici in filobus, inaugurando così la singolare rete della città berica, i cui bifilari, nonostante la captazione della corrente da due trolley distinti, presentava una distanza tra i fili di 40 mm contro i 60 di tutte le altre reti italiane, a cominciare da quella “ristrutturata” nel 1927 a Desenzano del Garda, che - con la presenza di due filobus di produzione inglese - deve considerarsi la prima filovia italiana di seconda generazione.

  

Filobus n. 18 della Ivrea-Cuorgné (coll. E. Champagne) e vettura 33 vicentina della Rognini & Balbo

del gruppo 31÷37 (Archivio A.I.M.-Vicenza). Quest’ultima presenta già le ruote gemellate posteriori

che rendono più stabile il veicolo e più confortevole la marcia.

Se le cose stanno così, qual è il primato rivendicato dalla Fiat? Potremmo dire, ma solo in parte, che esso è costituito dall’abbinamento tra l’utilizzo di due trolley separati (derivati dal “sistema Schiemann” e all’epoca ormai ampiamente diffusi in area angloamericana) con una carrozzeria effettivamente più “moderna” di quella dei veicoli sino ad ora esaminati. Carrozzeria, però, che la Casa torinese importò, unitamente alle parti meccanica ed elettrica, da modelli statunitensi, come può intuire chiunque mettendo a confronto un filobus americano e - ad esempio - uno dei tre esemplari di FIAT 461 che inaugurarono quella che viene considerata, dopo l’infausta chiusura di Desenzano, la prima filovia di seconda generazione, la Torino - Cavoretto, inaugurata a gennaio del 1931. Del resto, le prime vetture della Casa torinese furono realizzate su licenza della General Electric.

   

Le foto a confronto tra un filobus di Detroit (da sito web) e la vettura E1 della rete torinese (Archivio GTT-TO) dimostrano l’inequivocabile derivazione dei veicoli FIAT da quelli statunitensi.

Lunghi m. 7,85, gli “elettrobus” torinesi (non a caso immatricolati E1÷E3) erano dotati di due motori uniti in un’unica carcassa del tipo CGE 1126 (2 x 35 HP) con avviatore PCM di derivazione tranviaria. Il moto era trasmesso al ponte posteriore da un albero tubolare provvisto di giunti cardanici. Inoltre, i FIAT 461 erano dotati, come gli autobus, di differenziale. Costruiti con la tecnica della struttura portante (!), i 461 si presentavano con un frontale piatto sul quale spiccavano due grossi proiettori, ma l’elemento più vistoso era certamente costituito da un’ampia visiera (letteralmente “copiata” dai filobus statunitensi) che avvolgeva tutto il frontale. Di derivazione americana anche la guida a sinistra e la presenza di due porte a quattro antine alle estremità del rotabile. E nei 461 (come nei 467) si saliva dalla porta anteriore e si scendeva da quella posteriore, quest’ultima comandata dal bigliettaio che si trovava a metà vettura. Identici esteticamente, meccanicamente ed elettricamente (e persino classificati anch’essi E1÷E3) i tre coevi FIAT 467 che furono realizzati per la rete di Cuneo. Unica, ma assai significativa, differenza la perdurante presenza del trolley unico con carrello.

Vettura E2 della rete di Cuneo (coll. P. Gregoris), in tutto simile alle consorelle torinesi, salvo che per il trolley unico con carrello a quattro ruotine.

Gli ultimi filobus della prima fase produttiva della FIAT sono i 488 che nel 1933 inaugurarono la rete filoviaria di Venezia Mestre. Numerati 10÷32, furono i primi a percorrere il ponte Littorio con la loro inconfondibile livrea avorio. Più lunghi di 461 e 467 (m 8,50), erano però anch’essi caratterizzati da struttura metallica in lega di alluminio, guida a sinistra e due porte estreme (qui però a due ante). Anche dal punto di vista elettrico i 488 erano assimilabili alle vetture di Torino e di Cuneo, tranne un solo esemplare, quello che sarebbe stato numerato 30 dalla Società Filovie di Mestre (S.F.M., controllata peraltro proprio da FIAT attraverso la S.T.U., Società Trasporti Urbani), dotato di equipaggiamento elettrico e motore Marelli. Né va dimenticata, infine, l’esistenza di un ulteriore FIAT 488, presente in via sperimentale a Milano nel 1933, mai acquisito però al parco dell’A.T.M. milanese e da questa classificato 1 nel periodo di permanenza nel capoluogo lombardo. Era uno degli esemplari poi finiti a Mestre? Fu restituito alla FIAT? Rispondere a questa domanda oggi ci sembra purtroppo impossibile …

   

Vista laterale della vettura n. 30 della Venezia-Mestre (Catalogo Marelli) e,

a destra, foto aziendale del filobus sperimentale n. 1 dell’A.T.M. di Milano.

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Alla prima produzione FIAT vanno ascritti anche i cinque filobus che inaugurarono nel 1935 la rete di Trieste, benché “ufficialmente” realizzati dalla OM (che però dal 1933 faceva ormai parte del gruppo FIAT); erano carrozzati da Miani & Silvestri ed equipaggiati elettricamente da Marelli. Allo stato d’origine, questi filobus, classificati 601÷605, presentavano (non diversamente da FIAT 461, FIAT 467 e FIAT 488) frontale piatto, guida a sinistra e porte estreme. Ed anch’essi esibivano un parasole che “avvolgeva” l’intero parabrezza. Purtroppo, nel dopoguerra, subirono pesanti modifiche soprattutto nel frontale, che divenne spigoloso ed aggettante; anzi: vennero anche eliminati i finestrini curvi di raccordo con le fiancate e creati due ampi vetri frontali, che peggiorarono molto l’estetica complessiva delle vetture. Il gruppo fu radiato nel 1952.

   

Immagini a confronto di un filobus torinese fotografato a Ponte del Gatto (coll. A. Cozzolino) e della vettura triestina 601 (OM-Miani & Silvestri) allo stato d’origine (Archivio ATC): inequivocabile la somiglianza dei due veicoli!!!!

   

Dopo le modifiche operate dall’allora ACEGAT (coll. A. Cozzolino - Archivio ATC)

le vetture OM mostrano il loro palese imbruttimento!!!

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