di Andrea Cozzolino

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Potrà sembrare a prima vista un’affermazione azzardata, ma il panorama filoviario italiano appare tutto sommato omogeneo, anche a causa del non grandissimo numero di modelli prodotti dalle Case di maggiore rilievo quali FIAT, ALFA Romeo e Lancia. La notevole varietà che si può riscontrare analizzando i veicoli che hanno girato per le “città filoviarie” d’Italia si deve, infatti, soprattutto all’estro e alla genialità dei carrozzieri che si sono cimentati nel produrre molteplici varianti rivestendo uno stesso telaio: si pensi agli ALFA 140 in servizio a Milano (e sì che quelli a guida centrale seguono un disegno ‘unificato’ ALFA) per rendersi conto della veridicità di questa asserzione.

Per reperire, dunque, qualche modello particolare dobbiamo o risalire alle origini delle filovie cosiddette “di seconda generazione” (allorché la sperimentazione diede vita a non poche vetture prototipo) o … trasferirci a Vicenza, la città che è stata percorsa dai più rari modelli di filobus. Per ora risaliremo agli anni ’20 e ’30 del XX secolo ovvero …

Agli albori dei servizi filoviari

Può l’effimera filovia (1926-1932) che dalla stazione ferroviaria di Desenzano del Garda raggiungeva il ‘piroscafo’ sul lago di Garda e successivamente la vicina frazione di Rivoltella essere considerata “di seconda generazione”? Se la risposta può essere affermativa è certamente merito dei due filobus che dal 1927 sostituirono nel suo esercizio gli antiquati “Zaretti” (quelli, sì, di prima generazione!!!) che l’avevano inaugurata. Costruiti dall’inglese Guy Motors su progetto delle Tranvie Elettriche Bresciane (TEB), gestore dell’impianto, furono i primi ‘tre assi’ in servizio in Italia e costituirono un’assoluta novità nel panorama dei trasporti dell’epoca: basti ricordare che essi sono i primi filobus ‘italiani’ dotati di due aste separate in luogo dell’unica munita di «ruotine» tipica del sistema Cantono-Frigerio utilizzato dalle linee di prima generazione. Possiamo quindi a buon diritto considerarli la prima «stranezza filoviaria» da segnalare nel nostro lavoro …

  

Della filovia di Desenzano sono note solo tre immagini.

Non possiamo che riproporne due tratte da un noto articolo di Mario Bicchierai

pubblicato nel fascicolo 101 (novembre 1994) di “Mondo ferroviario”.

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Sin dal 1930 a Torino cominciarono gli esperimenti per la realizzazione di filovie, ed anche a Torino arrivò una vettura di costruzione inglese, ma ancor più singolare, perché dotata non solo delle aste per la captazione della corrente, ma anche di un ‘normale’ motore termico che le consentiva di percorrere “in marcia autonoma” tratti privi di bifilare: un vero e proprio “bimodale ante litteram” che venne classificato B1. In realtà, il veicolo progettato dalla Tilling Stevens era in parte italiano, perché il telaio proveniente dalla Gran Bretagna era stato rivestito a Napoli dalle Officine Ferroviarie Meridionali. Nel tempo, utilizzato quasi esclusivamente come filobus, sarà destinato all’esercizio della linea 55, che collegava il capoluogo sabaudo con Nichelino. La sorte non fu benevola con il benzofilobus: danneggiato da un’incursione aerea nel 1943, fu destinato subito alla demolizione.

  

Il benzofilobus torinese in un’immagine di fabbrica e,

a destra, ritratto in servizio sulla filovia n. 55 al capolinea di Nichelino.

La B1 non differisce (come si vede) dai ben noti “musoni”, i coevi autobus con guida arretrata.

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Anche Milano, che fu nel 1933 tra le città ‘pioniere’ nell’utilizzo delle filovie, ebbe in dotazione alcuni filobus meritevoli di considerazione per la loro peculiarità. Ricordiamo innanzitutto la vettura numerata 301, costruita dalla Ditta inglese Ransomes per la parte meccanica e per quella elettrica dalla Stigler (certamente più nota per la sua produzione di ascensori!). Era rivestito da una carrozzeria Macchi che prevedeva, allo stato d’origine, un parabrezza con ampio parasole e un elegante frontale piatto segnato da quattro moduli, due anteriori e due curvi di raccordo con le fiancate, separati solo da sottili listelli. Tre assi, guida a sinistra (!), lunghezza totale di circa mm 10500, la vettura 301 poteva ospitare ben 93 passeggeri (27 seduti). Il filobus fu significativamente ristrutturato negli anni ’50 e dotato di motore ed apparecchiature elettriche TIBB. Così, per lungo tempo rimase regolarmente in servizio, radiato solo nel 1963 per essere inviato al Museo della Scienza e della Tecnica del capoluogo lombardo. Qui, però, a seguito della lunga esposizione all’aperto e al conseguente degrado dovuto agli agenti atmosferici, si è ammalorato al punto da dover essere  - ahimé - destinato alla demolizione nel 2005.

  

 

Foto a confronto della vettura filoviaria milanese 301 allo stato d’origine (Archivio ATM) e dopo la revisione

operata in Azienda (coll. A. Cozzolino), che l’ha profondamente modificata soprattutto nel frontale,

appesantito dal nuovo parabrezza, scandito da tre montanti in modo assai più netto che nell’originale.

Fra le singolarità del filobus segnaliamo solo i doppi vetri che corrono lungo tutto il perimetro del veicolo

secondo un uso assai frequente nelle vetture statunitensi e sudamericane,

alle quali era ispirato anche l’ampio parasole frontale.

Col numero 302 l’A.T.M. immatricolò nel 1934 un altro esemplare unico di vettura filoviaria: questa volta si trattava di un veicolo realizzato da Turrinelli (modello AT4/S) e carrozzato dalle O.F.M. su licenza Varesina. Anzi: curiosamente la foto “ufficiale” della 302 è presente nell’archivio di ambedue le Case costruttrici!!! Estremamente singolare l’estetica di questo veicolo che presentava uno strano bauletto anteriore e due porte estreme che si adeguavano alla guida a sinistra che caratterizzava anche 302. A differenza dell’altro prototipo, questo esemplare non ebbe gran fortuna: come il benzofilobus di Torino fu distrutto da un bombardamento nel 1943.

La vettura n. 302 dell’AT.M. di Milano tabellata 82,

la prima filovia meneghina che raggiungeva Dergano (Archivio ATM).

Al 1937 risalgono altri cinque Turrinelli 2 AT4/S (gruppo 303÷307), che (ad onta della carrozzeria ugualmente realizzata dalla Varesina) erano però del tutto diversi dalla 302 e - per certi versi - assomigliavano molto di più alla 301. La porta anteriore, ad esempio, era collocata lungo la fiancata e dopo quattro moduli (tre in 301), sì da consentire l’inserzione di altri cinque finestrini tra i due accessi del filobus, peraltro caratterizzato da guida a destra.

A differenza dei veicoli che li precedevano nella numerazione, 303÷307 presentavano un frontale caratterizzato da superfici squadrate e spigolose. Anche queste quattro vetture furono tutte distrutte nel corso del 1943.

Ultimi veicoli “strani” dell’A.T.M. vanno considerati i Turrinelli 2AT6/300 carrozzati dalle Officine Elettroferroviarie Tallero (OEFT), che avrebbero dovuto costituire la serie 691÷700, ma che furono in tempi brevi (costruzione 1942-requisizione 1944) preda bellica delle truppe tedesche. Di questi filobus non esiste alcuna testimonianza fotografica.

 

A sinistra: foto di fabbrica dei filobus milanesi Turrinelli 2 AT4/S.

A destra: una pubblicità delle OEFT è l’unica ‘immagine’ di un filobus della sfortunata serie milanese 691÷700.

Il disegno mostra una vettura, sempre a tre assi, presumibilmente da 12 m,

caratterizzata da linee abbastanza più ‘morbide’ rispetto a quelle dei filobus del gruppo più anziano.

E molto più moderna (siamo, del resto, nel 1942 vs 1937) è tutta la struttura del veicolo,

con l’asse anteriore più avanzato e la maggiore distanza tra le due porte (coll. A. Cozzolino).

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Risale a gennaio del 1938 l’arrivo a Roma della vettura 7001, prototipo dei cosiddetti “autofilobus” ovvero di veicoli che - a differenza dei due esemplari torinesi più sopra citati - erano dei veri e propri “bimodali”, dal  momento che montavano una dinamo direttamente accoppiata al motore termico, adottando dei ponti posteriori muniti di motori elettrici. Erano stati costruiti utilizzando un ‘normale’ telaio per autobus ALFA Romeo 110 il cui motore termico alimentava due motori elettrici CGE CV1154-C, i quali agivano a loro volta (come in qualsiasi altro filobus) sui due assi posteriori del veicolo. A 7001 seguirono altri cinque esemplari rigorosamente immatricolati con soli numeri dispari fino a 7011, filobus che si differenziava però esteticamente dagli altri. Mentre, infatti, le vetture classificate fino a 7009 presentavano una cabina destinata al conducente affiancata al motore termico, 7011 esibiva motore e posto guida all’interno dell’abitacolo. Pesantissimi, di difficile esercizio e detestati dai conducenti, gli autofilobus non vennero quasi mai utilizzati come tali, ma in rinforzo alle linee filoviarie. Nel dopoguerra, dopo la perdita dell’unità n. 7007 per danni bellici, gli esemplari residui furono riclassificati da 6981 a 6989 per evitare la sovrapposizione con i tram della serie “7000”. La radiazione del gruppo di ALFA Romeo 110 AN-F (questa la sigla “ufficiale” attribuita agli autofilobus) data al 1952.

  

Le vetture romane 7001 e 7011. Indubbiamente, alle linee sgraziate dell’una corrisponde

una maggiore armonia nel frontale dell’altra (ambedue le foto provengono dall’Archivio ATAC).

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E veniamo, adesso, a Genova: l’UITE, che gestiva all’epoca il trasporto urbano nel capoluogo ligure, decise, nel 1940, di trasformare in filobus un autobus SPA 34 C. Questo singolare veicolo, la cui carrozzeria venne anch’essa adeguata in Azienda, fu reso assai simile alle vetture di prima dotazione delle filovie genovesi, gli Isotta Fraschini TS40 - I serie che costituivano il gruppo 200÷207. E fu probabilmente per questo che il filobus venne immatricolato 199 (poi 2199). Era dotato di motore Ansaldo con avviatore del tipo AMF/1 per una potenza complessiva di 66 kW. Nel 1956, la vettura 2199 fu trasformata in grafitatrice e riclassificata, nell’occasione, A42, assumendo una livrea singolarissima, tra grigio e verdino, che lo contraddistingueva ancor più nel parco filoviario genovese. Grazie a questo suo declassamento, rimase in efficienza fino alla chiusura della rete.

  

La vettura genovese 199 allo stato d’origine (Archivio Ansaldo) e,

a destra, dopo la trasformazione in veicolo di servizio (foto P. Gregoris).

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Nella seconda parte del nostro lavoro, soffermeremo ora la nostra attenzione su due diversi tipi di filobus, quelli non prodotti in Italia e quelli, tutti certamente caratteristici, che hanno percorso le strade della città di Vicenza.

Stranieri a Cuneo e a La Spezia

È circostanza rarissima che nel parco di un’Azienda filoviaria italiana siano stati immatricolati veicoli non prodotti in Italia. Parliamo ovviamente sempre e solo delle vetture di seconda generazione giacché è ben noto che un gran numero dei filobus di terza generazione sono invece provenienti dall’estero. Ma, ritornando al passato, esamineremo ora gli unici due casi di filobus “stranieri” in servizio su reti nostrane.

In realtà, il primo caso, in realtà, è costituito da un Büssing di produzione tedesca, ma carrozzato e commercializzato, come moltissimi autobus suoi consimili, dall’italianissima Macchi e che era dotato di apparecchiature elettriche CGE. La vettura, che risulta essere stata in prova anche ad Alessandria, approdò a Cuneo nel 1958 e vi assunse la matricola E6. Dopo dieci anni di onorato servizio fu dismesso a causa della chiusura della rete cuneese.

La vettura E6 di Cuneo, qui ritratta da P. Gregoris, condivideva molte caratteristiche estetiche con altri filobus italiani.

Ad esempio, la compresenza di vetro a sperone, guida centrale e tre porte con l’anteriore a due antine lo avvicina

ai CV 33 Viberti milanesi, mentre i fregi del frontale - tipici di Macchi - ricordano i FIAT 2405 dell’APT di Verona

e gli elegantissimi snodati della serie bolognese 1318÷1335.

Molto meno presenti furono, invece, le vetture 227-228 del parco dell’ATC di La Spezia, acquistate nel 1954 e dismesse dieci anni dopo senza essere state quasi mai utilizzate in servizi ordinari. Si trattava di due filobus costruiti dalla San Giorgio di Pistoia (modello 012) su “base” meccanica dell’elvetica F.B.W. ed elettrica della Oerlikon. Caratterizzati da una guida molto incassata e da uno sterzo assai duro, furono ben presto ‘emarginati’ dai conducenti.

Foto di fabbrica dei filobus San Giorgio 012 che le O.M.F.P. realizzarono nel 1954 per l’Azienda di La Spezia.

Due assi, lunghezza 11000 mm, i due veicoli disponevano di ben 28 posti a sedere, ma - come si è detto - le negative caratteristiche meccaniche e la scarsa visuale li distolsero assai presto dal servizio (coll. A. Weber).

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A Vicenza

Abbiamo già altra volta ricordato che la rete della città berica era caratterizzata da una distanza dei bifilari ridotta rispetto a tutte le altre reti italiane (40 cm vs 60), il che voleva dire che qualsiasi filobus venisse prodotto per essere destinato a Vicenza doveva essere realizzato con questa peculiarità. Ma anche con dimensioni molto ridotte per adattarsi ai percorsi che prevedevano il transito per strade strette e tortuose. Di qui la singolarità dei mezzi vicentini, a cominciare dalle due serie anteguerra costituite da veicoli appositamente realizzati dalla Rognini & Balbo. Anzi: tre di essi, che inaugurarono la prima linea vicentina, erano degli elettromobili, ovvero degli autobus ad azionamento elettrico, che furono trasformati per la captazione della corrente da rete aerea (nell’occasione essi, già numerati 1÷3, furono riclassificati 15÷17 dopo l’ultimo tram!). Ed anche il gruppo numerato 31÷37 manteneva tutte le fattezze degli autobus ad accumulatori Rognini & Balbo, ma - ad onta della sua singolarità - riuscì bellamente a superare il periodo bellico e a raggiungere in efficienza gli anni ’50 del XX secolo!!! E va anche ricordato che la vettura n. 32 ebbe vita ancor più lunga grazie alla ricostruzione operata da Pietroboni.

   

Osservare i filobus vicentini anteguerra ci fa trasferire in una dimensione arcaica

che li avvicina molto più ai veicoli di prima generazione, ad onta del doppio trolley.

Le vetture raffigurate a sinistra (coll. P. Gregoris), carrozzate da Macchi,

sono certamente più “antiche” per concezione di quelle di Desenzano.

Ed anche il veicolo raffigurato nell’immagine di destra (Archivio A.I.M. - Vicenza)

non presenta il minimo carattere di ‘modernità’!

Nel dopoguerra, a causa dell’anzianità sempre maggiore dei filobus in esercizio, l’Azienda vicentina si pose il problema del ricambio progressivo del materiale rotabile. Dopo aver sperimentato un ALFA 430 (sul quale abbiamo avuto modo già di soffermarci in altro articolo pubblicato su questo stesso sito), l’A.I.M. si rivolse alle Officine Nazionali di Savigliano, che divennero fornitrici di ben tre serie di filobus per Vicenza. Il primo gruppo, denominato UNI N1 e numerato 40÷44, fu immesso in servizio nel 1950; era stato integralmente costruito (carrozzeria compresa) a Savigliano, mentre le due serie successive (45÷49 del 1953 e 50-51 del 1955) mantennero le stesse parti meccaniche ed elettriche, ma furono rivestite da Garavini. Poi, nel 1957, anche Vicenza sarebbe rientrata nella “normalità” con l’acquisto di sei FIAT 2404 Dalla Via. Ma quelli li abbiamo già conosciuti anch’essi nell’articolo loro dedicato …

     Vettura 41 del parco A.I.M., appartenente al gruppo più “antico” di filobus prodotti dalle Officine di Savigliano

per la città di Vicenza (foto P. Gregoris).

La vettura 48 della dotazione A.I.M. in una foto aziendale.

A lato, disegno quotato dei filobus Savigliano-Garavini in servizio a Vicenza,

dal quale si evince il ridotto ingombro caratteristico di questi mezzi (coll. A. Weber).

Foto del titolo: La vettura milanese 302 in una foto proveniente dall’Archivio Varesina.

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