di Paolo Neri

Interno di un ambulante postale

della seconda metà dell' 800 (coll. A. Gamboni).

 

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"Cara sorella,

dopo un lungo e faticoso viaggio sono giunto a destinazione,

Ti invio tanti saluti.

John"

 

L'arrivo di un messaggio così semplice, a parte la firma che di certo avrebbe lasciata perplessa la destinataria, sarebbe apparso quasi un miracolo all'epoca di Giulio Cesare; allora l'ipotetico viaggiatore avrebbe fatto a tempo a tornare a casa prima della sua lettera... qualora non se la fosse messa in tasca per recapitarla personalmente!

A quei tempi, infatti, non esisteva un servizio postale vero e proprio ma ci si serviva di corrieri solo per le notizie di Stato, rapporti, istruzioni a governatori di province lontane. S'intende che parliamo di lettere non di notizie, perché queste pervenivano a destinazione correndo con una velocità più che fulminea, come ancora oggi capita per i pettegolezzi. Eppure, il bisogno di comunicare è stato in ogni tempo vivo, tanto più quanto incalzando la civiltà aumentavano le esigenze di scambiarsi messaggi dai più disparati contenuti. Proposte per organizzare un servizio postale ce ne sono state moltissime ma le difficoltà consistevano nella scarsità di mezzi di trasporto, nella pericolosità delle strade e, perché no, nel problema di ricavare un utile dall'impresa giacché, da che mondo è mondo, nessuno ha mai pensato di intraprendere una qualsiasi attività se non per scopo di lucro. I tentativi di introdurre un servizio postale si basavano sul pagamento della spesa da parte del destinatario ed è cosi che un viaggiatore inglese di quasi 150 anni or sono vide sulla porta di un albergo un portalettere che s'era fermato per consegnare una lettera. Una giovanetta uscì per riceverla; la prese, la girò e la rigirò fra le mani poi, con aria imbarazzata, domandò il prezzo del porto. Il postino chiedeva uno scellino e la ragazza, evidentemente povera, sospirò, disse che la lettera veniva da suo fratello (John, ricordate?) ma che non aveva il denaro e quindi non poteva riceverla. Il viaggiatore, che aveva buon cuore, si offrì di pagare quanto dovuto e, malgrado le insistenze della giovane, pagò lo scellino al messaggero. Appena questi ebbe voltato le spalle, la giovane confessò che era un gioco combinato tra lei e il fratello: alcuni segni sulla busta le avevano rivelato quanto le premeva di sapere! La storia si conclude narrando che quel viaggiatore era un tale Rowland Hill che dall'episodio ebbe idea di organizzare un servizio postale su una nuova base. Due furono le invenzioni che dettero un impulso gigantesco alla corrispondenza postale: il francobollo, che fu introdotto nel 1840 in Inghilterra da quel Hill di cui sopra e le ferrovie, che nacquero nello stesso paese nel 1825. In Italia furono emessi i primi francobolli nel Regno Lombardo-Veneto da parte dell'Imperial Regio Governo austriaco nel 1850; la prima ferrovia, tutti sappiamo, fu inaugurata nel Regno delle Due Sicilie il 3 ottobre 1839.

 

Busta commemorativa con francobollo ed annullo speciale edita in

occasione del centenario della morte di Hill (coll. A. Gamboni).

 

Dopo questa breve ma necessaria premessa vediamo per sommi capi l'iter di una missiva imbucata allora in una delle tante cassette d'impostazione. Un fattorino la prelevava con il tipico sacco durante il suo giro della città e la portava nell'ufficio centrale ove, nel salone di smistamento, veniva destinata alla linea ferroviaria opportuna insieme alle tante altre; qui era affidata all'ufficio ambulante, cioè all'ufficio viaggiante sui treni. A tale scopo furono adibiti dei vagoni molto semplici e disadorni che somigliavano assai ai bagagliai ed erano contraddistinti sulle fiancate esterne da un disegno a forma di busta. In ciascuno di essi viaggiavano quattro o cinque impiegati con il compito di smistare la posta diretta in tutti i paesi attraversati da quel determinato tronco di ferrovia. Oltre alle lettere, giornali e stampati d'ogni genere caricati alla stazione di partenza, il capo-ufficio e gli impiegati dell'ambulante stesso ricevevano lungo la linea una quantità di altra corrispondenza che doveva essere scelta, classificata ed incasellata nell'apposita scaffalatura a "vespaio" a disposizione davanti al tavolo di lavoro. Si trattava di non lasciar passare nessuna stazione senza essere pronti a consegnare il pacco di lettere giunto a destinazione.

 

 

 

 

Quando nel settembre/ottobre del 1871 venne completato ed inaugurato il Traforo ferroviario del Frejus (noto anche come "del Moncenisio", tra Modane e Torino venne istituita una carrozza ambulante. Il timbro che si vede impresso sulla busta è proprio il bollo di quell'ambulante ed è datato dicembre 1871, pochi mesi dopo l'apertura del traforo.

(Per gentile concessione del collezionista Marco Occhipinti)

 

 

Interno di un ambulante postale in una stampa del 1847.

 
 

 

Vagone postale a tre assi con garitta frenatore delle "Regie Poste" in servizio sulle F.S.

nella caratteristica livrea verde. (Museo di Pietrarsa - Napoli - foto A. Gamboni).

 

 

Interno di un vagone postale a cassa metallica del 1934 in servizio sulle F.S. (coll. A. Gamboni).

 

È facile immaginare la "febbre" che agitava il personale dell'ufficio viaggiante che doveva avere in mente un quadro perfetto di tutte le coincidenze e le diramazioni: essi dovevano conoscere, ad esempio, in quale stazione lasciare il sacco contenente le lettere dirette ad Eboli in provincia di Salerno a Rutino, Tortorella, Maratea in provincia di Potenza e così via. Gravi erano le responsabilità del personale viaggiante perché, insieme alle lettere ordinarie, dovevano essere registrate e smistate anche raccomandate ed assicurate. Caratteristica particolare di questo servizio era l'annullo. I francobolli venivano obliterati durante il viaggio con un timbro apposito; di qui la dizione di "ambulanti postali" che sta proprio ad indicare la speciale mansione di quel personale che veniva svolta durante il cammino del treno. Osservando più da vicino l'aspetto ferroviario del nostro discorso, rileviamo che l'ufficio postale ambulante era distinto dal bagagliaio viaggiatori ma una completa diversificazione si ebbe solo nel 1905 con la costituzione delle Ferrovie dello Stato, quando fu sanzionata una classifica dei due tipi di vetture costituita da una lettera di serie (maiuscola) e di una sottoserie (minuscola) variamente combinata. Alle vetture adibite ad ambulanti postali fu assegnata la lettera "U", mentre ai bagagliai la "D".

Concludendo il viaggio della nostra lettera essa, insieme alla corrispondenza selezionata per la medesima città, veniva consegnata ad un delegato presso la stazione e portata all'ufficio locale per essere recapitata a domicilio dal portalettere. Oggi gli ambulanti postali non esistono più. Macchine automatiche, codice postale, mezzi più veloci sono stati introdotti negli ultimi tempi con grandi vantaggi sull'efficienza del servizio e così il personale non può più lamentarsi. Non ha più la "febbre"!

 

La lettera, inviata da Tripoli il 23 ottobre del 1921 e diretta a Genova,

fu recuperata tra la corrispondenza in viaggio in un ambulante postale

dopo il disastro ferroviario di San Pietro a Maida sulla linea Reggio Calabria - Battipaglia.

 Come indica la stampigliatura apposta sulla missiva,

l'ambulante postale precipitò in un torrente e

l'acqua danneggiò la corrispondenza privandola dell'affrancatura.

(Per gentile concessione del collezionista ing. Paolo Guglielminetti)

 

 

(tratto da ClamFerrovie, anno VII, n. 29 - Maggio 1986)

 

Per una maggiore informazione sugli annulli consultare il sito:

www.funicolarevesuviana.it/

 

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