George Stephenson

una vita al servizio

delle Strade Ferrate

 

(tratta da un opera di B. Besso del 1870)

   

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George Stephenson nacque il 9 giugno 1781 nel villaggio di Wylam, sulle rive settentrionali del fiume Tyne, a circa otto miglia inglesi da Newcastle. Wylam è anche in oggi [1870] un meschino villaggio abitato quasi esclusivamente da operai minatori che traggono il loro sostentamento lavorando nella vicina miniera di carbon fossile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Particolare di una cartina dell'Europa al tempo di Napoleone mostrante il Regno di Gran Bretagna. Il cerchietto in rosso indica la posizione del villaggio di Wylam nel quale nacque George Stephensnon. Il piccolo centro abitato distava pochi chilometri da Newcastle, alla foce del fiume Tyne.

Il nostro Giorgio era il secondogenito ed ebbe cinque fratelli; il padre, per nome Roberto, era fuochista presso alla pompa a vapore che sollevava l’acqua sorgente dal fondo di quella miniera. Roberto era attivo e laborioso, tuttavia il suo stipendio settimanale era di soli dodici scellini (circa 15 lire italiane). Con la più scrupolosa economia questa somma bastava appena a provvedere la famiglia del necessario nutrimento, ben poco rimaneva pel vestiario, nulla per l'educazione, perciò né Giorgio, né i suoi fratelli poterono frequentare la scuola. A otto anni Giorgio si guadagnava il pane, come guardiano d'una piccola mandra di vacche ; ei le sorvegliava al pascolo e le teneva lontane dalia vicina strada ferrata, che dalla miniera va al fiume Tyne, sulla quale discendevano pesanti carri, carichi di carbone, tirati da cavalli. Giorgio trovò modo di cumulare due impieghi: sollecitò ed ottenne l’incarico di guardiano alla ferrovia. Ogni sera, quando era cessato il movimento dei carri di carbon fossile, Giorgio doveva chiudere un certo numero di cancelli, collocati nei punti in cui la ferrovia incontrava altre strade, per riaprirli la mattina seguente per tempo; questo impiego supplementare gli fruttava due pence (21 centesimi) al giorno. Divenuto grandicello fu impiegato a sarchiare le aiuole e ad altri lavori campestri. Ma l'ambizione di Giorgio mirava più alto: ei voleva lavorare nella miniera. Raggiunse l'intento e fu impiegato assieme ad altri ragazzi a separare dalle terre e dalle pietre il carbon fossile già estratto dalla miniera. Di lì a qualche tempo ricevette l'incarico di sorvegliare e dirigere un cavallo che, camminando circolarmente, faceva girare un maneggio, il quale, mercé una combinazione di funi e di pulegge, sollevava il carbon fossile dal fondo della miniera. Giorgio riceveva allora lo stipendio giornaliero di otto pence (circa 84 centesimi).

 

 

 

 

 

 

 

 

La casa natale di George Stephenson in una incisione del 1870 e come si presenta oggi. Le rotaie in primo piano, con molta probabilità,  sono quelle impiegate per il trasporto del carbone delle miniere.

La sua assiduità ed il suo amore al lavoro gli valsero in breve una promozione; fu posto a fianco del padre, in qualità d'aiutante fuochista alla pompa a vapore della miniera. Grande fu la gioia di Giorgio quando a quattordici anni ebbe questo posto con lo stipendio d'un scellino (una lira e 26 centesimi). Di lì a due anni egli era fuochista alla pompa della miniera di Throckeley-Bridge col salario di dodici scellini alla settimana. Giorgio dedicava tutto il suo tempo allo studio della macchina a vapore affidata alle sue cure; in breve ei la conosceva tanto bene che poteva smontarla completamente per esaminarne a suo bell'agio i singoli organi. La sua macchina fu la sua passione favorita; ei la sorvegliava con amore, ne conosceva i pregi e i difetti.

Giorgio aveva udito parlare d'altre macchine a vapore ben più complicate di quella che faceva andare la pompa pel sollevamento delle acque dal fondo della miniera, aveva udito ripetere che nei libri erano descritte le ingegnose macchine a doppio effetto che uscivano dall'officina di Watt e Bulton. Egli era avido di conoscerle, di studiarne la descrizione; ma come fare? ei non sapeva leggere, non conosceva neppure l'alfabeto! Ei comprese allora che per progredire nella sua carriera gli era indispensabile impossessarsi di quell'arte meravigliosa che fu detta la chiave di tutte le arti, la lettura.

Nel vicino villaggio di Walbottle, un povero maestro teneva un corso di lezioni serali; Giorgio che aveva ormai dieciotto anni, vi andava tre volte per settimana, ogni lezione gli costava un penny (circa 10 centesimi). Sebbene quell'insegnamento non fosse dei migliori, pure il nostro operaio era talmente avido di sapere che in breve tempo imparò a leggere ed a maneggiare la penna. Fu per lui un giorno di festa quando riesci a scrivere correttamente il suo nome. Nell'inverno del 1799 un pedagogo scozzese si stabilì nel villaggio di Newburn ed aperse un corso serale di aritmetica. Giorgio che abitava poco discosto da Newburn, frequentava assiduamente queste lezioni e si esercitava nei calcoli nei momenti perduti della giornata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alte ciminiere segnalavano la presenza delle miniere di carbone per il cui trasporto venivano impiegati vagoncini trainati da cavalli e viaggianti su rotaie in legno.

Senza mai mancare ai propri doveri, invigilando costantemente la pompa affidata alle sue cure, egli approfittava tuttavia dei più piccoli ritagli di tempo per risolvere i problemi d'aritmetica proposti dal pedagogo nella serata antecedente. Stephenson, grazie alla sua straordinaria perseveranza, possedette in breve le cognizioni fondamentali dell'aritmetica. Nel 1801 Giorgio ebbe la diretta sorveglianza d'una macchina a vapore che sollevava, dal fondo della miniera di Dolly, grandi panieri contenenti il carbon fossile. L'operaio cui è affidata quella macchina deve staccare i panieri carichi, quando giungono alla bocca del pozzo d'estrazione, e sostituire ad essi altrettanti panieri vuoti che discendono nel pozzo, mentre contemporaneamente salgono altri panieri carichi.

Per rompere la monotonia di questo lavoro, Stephenson alternava il servizio diurno col servizio notturno : poiché il lavoro ferve continuo nel fondo delle miniere, gli operai si danno la muta, quelli che hanno lavorato di giorno riposano durante la notte, e viceversa: quella stessa macchina che solleva i panieri carichi e cala giù nella miniera i panieri vuoti serve pure a far salire e scendere gli operai. Di notte la macchina non solleva carbone, serve soltanto a far salire e scendere gli operai e gli utensili; l'operosità del conduttore della macchina è quindi minore durante la notte, vi sono molti ritagli di tempo dei quali egli può disporre a suo talento, purché, già si intende, ei rimanga sempre al suo posto. Giorgio approfittava di questa libertà notturna per risolvere problemi d'aritmetica, per esercitarsi nella scrittura e per rattoppare le scarpe sdruscite dei suoi compagni. Stephenson dedicavasi anche a questo ingrato lavoro, nel quale divenne in breve abilissimo, per aumentare il suo magro peculio, non per avarizia, bensì per accumulare la piccola somma di denaro necessaria a piantar casa.

 

 

In questa rara incisione, tratta da "Il vapore e le sue applicazioni" di Luigi Figuier ed. Treves 1898, è raffigurato uno strano personaggio  risalente al 1713, un vispo fanciullo di nome Henry Potter. Addetto alla manovra dei rubinetti di una macchina a vapore, egli, avendo osservato che l'operazione dipendeva dal moto del bilanciere, pensò di collegare a questo due funicelle: e la macchina andò sola. Così l'intelligente Potter poté andare a giocare con i suoi coetanei. Viene giusto da pensare allora che l'Henry Potter di Joanne Kathleen Rowling forse discende da quel fanciullo?

 

Giorgio erasi invaghito d'una povera fanciulla, Fanny Henderson, bella, dignitosa e modesta, dotata di non comune buon senso, e si propose di sposarla. Giorgio incominciò a farsi conoscere dalla sua bella col rattopparne, con straordinaria cura, le scarpe; Fanny apprezzò in lui l’operaio attivo ed intelligente e fu ben lieta di essere da lui preferita; si sposarono nel novembre 1802. Stephenson era allora incaricato della sorveglianza della macchina di Willington-Ballast Hill, piccolo villaggio sulle rive settentrionali del fiume Tyne, distante sei miglia inglesi da Newcastle.

Le navi che, risalendo il fiume Tyne, giungono presso a quel meschino villaggio per caricare carbon fossile, arrivano colà cariche di zavorra (terra o ghiaia che si carica sulle navi per mantenerle equilibrate quando viaggiano senza trasportar merci) che viene scaricata e sostituita da carbon fossile. Per non ingombrare la spiaggia, la zavorra vien caricata sopra carri disposti lungo la spiaggia sulla quale è costrutto un tronco di ferrovia; riuniti più carri in modo da formare un convoglio, questo vien trascinato mediante una fune (tesa da una macchina a vapore fissa), fino al luogo in cui deve operarsi lo scarico dei carri e quindi il deposito definitivo della zavorra. Stephenson aveva appunto l’incarico di sorvegliare e dirigere quella macchina a vapore; lavoro che lo teneva occupato tutto il giorno; tuttavia, per aumentare le sue entrate a vantaggio della famiglia, ei dedicava parte delle ore della sera, delle quali ei poteva disporre a suo talento, allo scarico della zavorra dalle navi ; nessuno era più destro di lui nel maneggiare il badile. Uno strano accidente lo sviò da questo lavoro manuale e diede alla sua industria un indirizzo nuovo e più lucrativo.

Un giorno mentre ei trovavasi fuori si sviluppò il fuoco nel camino della sua casetta; il vicinato accorse frettolosamente, i più zelanti ascesero sul tetto e versarono gran copia d'acqua nella gola del camino; l'incendio fu spento in breve, ma Giorgio rientrando in casa trovò tutti i suoi mobili inzuppati di acqua e coperti di fuliggine. Uno degli oggetti più cari a Stephenson, il suo orologio che stava appeso alla parete, aveva sofferto non poco per l'acqua e la fuliggine, le ruote non potevano muoversi. Giorgio voleva assolutamente ridare la vita al suo orologio, ma non era in grado di ricorrere all'orologiaio, perciò volle mettere alla prova il suo ingegno; detto fatto: smontò completamente l'orologio, ne pulì con somma cura i singoli organi, li riunì di bel nuovo ed ebbe la somma soddisfazione di vedere 1'orologio muoversi con la stessa precisione di prima. L'abilità di Giorgio, fu tosto proclamata in tutto il villaggio, e d'allora in poi tutto il vicinato ricorse a Stephenson per affidargli la riparazione d' orologi.

Questa nuova industria giunse in buon punto pel laborioso Giorgio, poiché le sue spese famigliari eransi aumentate: il 16 ottobre 1803 egli ebbe un figlio che ricevette il nome di Roberto. Nel 1806 Giorgio ebbe il dolore di perdere la sua cara Fanny, e tutto l'affetto del padre si concentrò su Roberto. Nel 1808 Stephenson ed altri due conduttori di macchine a vapore stipularono un contratto per assumere a loro spese, verso un determinato compenso, l'esercizio delle macchine della miniera di West Moor a Killingworth. I tre conduttori fornivano l'olio ed il sego, ripartivano fra loro la sorveglianza e la direzione delle macchine e percepivano una somma fissa, per ogni tonnellata di carbon fossile estratto. Siccome le macchine erano due e siccome entrambe funzionavano tanto di giorno quanto di notte, così dei tre soci, due erano costantemente occupati. Stava nel loro interesse di ridurre al minimo le spese; Giorgio studiò quindi il mezzo di ricavare qualche beneficio dal nuovo contratto; ei riconobbe che le funi del torno che servivano a far salire i panieri carichi di carbon fossile dal fondo del pozzo della miniera, erano mal disposte; esse si logoravano l'una sull'altra, ed in breve, divenendo inette al servizio, conveniva sostituirle. Questa frequente sostituzione delle funi recava un sensibile aumento di spesa. La durata delle funi era, nelle altre miniere, di circa tre mesi; le funi della miniera di West Moor duravano soltanto un mese.

Giorgio esaminò accuratamente la disposizione del torno e delle funi, ne riconobbe il difetto; ottenutone il permesso dal meccanico principale e dal proprietario della miniera, Stephenson modificò quella viziosa disposizione e raggiunse tosto l'intento. Stephenson continuava a dedicare le sue ore libere allo studio della meccanica nella quale divenne abilissimo. Un nuovo pozzo detto di High Pit era stato scavato nel 1810 nella miniera di Killingworth. L'acqua che si accumulava in fondo doveva essere estratta mercé una pompa a vapore espressamente costrutta, ma questa pompa si mostrò inetta allo scopo; il pozzo era sempre pieno d'acqua e quindi non era possibile penetrarvi per l'estrazione del carbon fossile. L'ingegnere preposto alla miniera di Killingworth aveva indarno tentato di riparare quella pompa difettosa, e l’intendente delta miniera, Ralph Dodds, disperando di mettere a secco quel pozzo era in procinto di abbandonarlo per non sprecare altri denari nell'alimentazione della pompa a vapore. La cosa venne all'orecchio di Stephenson; questi esaminò minutamente la pompa a vapore e si impegnò di migliorarla nel breve periodo di otto giorni, a tal segno da rendere possibile agli operai di scendere fino in fondo al pozzo. Ralph Dodds fu ben contento di poter mettere alla prova l'abilità del nostro Giorgio. Questi smontò completamente la macchina, modificò alcuni organi, rimediando così a parecchi difetti di costruzione. In capo a tre giorni tutte le riparazioni erano compiute, la macchina incominciò a funzionare, il livello dell'acqua, nell'interno del pozzo, andò gradatamente abbassandosi, e prima che fossero trascorsi gli otto giorni chiesti da Stephenson gli operai erano già discesi a piedi asciutti in fondo al pozzo.

Il trionfo di Stephenson gli attirò la stima universale, l'intendente della miniera gli diede una gratificazione di dieci sterlini (circa 252 lire) e lo promosse a meccanico a High Pit con aumento di salario. Siccome l'avventura fa ben presto conosciuta in tutto il territorio, cosi Stephenson divenne il consulente di quanti avevano pompe difettose. Nel 1812, essendo vacante il posto di meccanico principale della miniera di Killingworth, l'intendente Ralph Dodds, che non aveva dimenticato il nostro Giorgio, gli conferì quel posto con l'annuo stipendio di cento sterlini. Da allora in poi Stephenson non si vide più costretto a sciupare il suo tempo in lavori manuali, e potè soddisfare più liberamente all'ardente sua brama di aumentare la sua coltura intellettuale. Ma questo periodo di tranquillità fu di breve durata; Roberto era ormai grandicello, suo padre voleva dargli una buona educazione. Le sue entrate ordinarie non bastavano : ei le aumentò procurandosi entrate straordinarie col lavoro notturno. Ei dedicò nuovamente parte della notte a rattoppar scarpe, ad accomodare orologi, a tagliare forme di legno pel calzolai; Stephenson stesso tratteggiò questo periodo della sua esistenza nel discorso da lui pronunciato a Newcastle il 18 giugno 1844 in occasione dell'apertura della ferrovia da Newcastle a Darlington: «Mentre Roberto era ancora bambino io mi preoccupavo già della sua educazione, sentivo su me stesso i danni della mancanza di cognizioni, e per risparmiare a mio figlio le difficoltà da me incontrate, risolvetti di inviarlo ad una buona scuola e di dargli una buona educazione. Ma io ero povero; per superare quest'ostacolo, dedicai le mie scarse ore di libertà alla riparazione di orologi e ad altri lavori manuali, a questo modo mi procurai i mezzi per educar la mia creatura».

Roberto incominciò a frequentare la scuola a Newcastle nel 1815, e fece in breve rapidi progressi; quando Roberto ritornava a casa alla sera, il padre si informava premurosamente degli studi fatti dal figlio durante la giornata, ripetea secolui le lezioni con notevole vantaggio per entrambi. Di quando in quando Roberto otteneva a prestito, dalla biblioteca della scuola, qualche volume d'una Raccolta d'Arti e Scienze, allora Giorgio lasciava da canto i lavori manuali e dedicava la sua serata alla lettura di quell'opera. Queste occupazioni secondarie non nuocevano punto all'occupazione principale di Stephenson: durante il giorno ei si dedicava col massimo zelo a tutto ciò che si riferiva ai lavori meccanici della miniera affidati alle sue cure, egli studiava continuamente le riforme ed i perfezionamenti da introdursi nell'esercizio della miniera a vantaggio dei proprietarii. Era quindi naturale che Stephenson si interessasse vivamente alla grave questione dei trasporti di carbon fossile ed all'applicazione della macchina a vapore per agevolarli.

 

Per meglio comprendere il continuo dell'opera di Besso, ricordiamo che il primo carro a vapore fu costruito in Francia da Giuseppe Cugnot nel 1770 al quale seguì, nel 1786, l'esperimento dell'americano Oliviero Evans. Non trovando sostenitori in America, l'idea di Evans traversò l'Oceano e fu raccolta da due inglesi: Trevithick e Vian i quali ottennero, nel 1801, un brevetto per "l'impiego della macchina a vapore, ad alta pressione, pel movimento delle vetture". Ma gli esiti della locomozione su rotaie furono poco soddisfacenti per mancanza di attrito. Al fatto pensò di rimediare Blenkinsop nel 1912 utilizzando rotaie e ruota motrice entrambe dentate. La cosa sembrava funzionare tanto che, sempre nel 1912, i fratelli Chapmann tentarono di sostituire agli ingranaggi di Blenkinsop dei pali di legno conficcati nel suolo, tra le due rotaie. Ed ecco come avveniva il movimento: la locomotiva era munita di un rocchetto sul quale si avvolgeva per azione del motore una fune fissata ad uno dei pali; una volta raggiunto il picchetto che sporgeva poco dalle rotaie, un addetto sganciava la corda e la riattaccava al prossimo palo. Così, di palo in palo, avveniva il movimento. È inutile dire che l'idea naufragò sul nascere a causa della lentezza del sistema. Prima di ridare la parola a Besso, chiudiamo questa panoramica con la locomotiva a stampelle di Brunton. Come dice la stessa parola, la macchina era dotata da due stampelle che, azionate da un motore a vapore, in modo alternato toccavano il suolo e facevano progredire la locomotiva, proprio come le gambe fanno con l'uomo.

Ecco allora che Stephenson, avendo osservato tutti questi esperimenti . . .

 

. . . riconobbe tosto che l’adozione d’una buona locomotiva avrebbe esercitata una benefica influenza nella grave questione dei trasporti di carbon fossile, ed avrebbe quindi dato nuovo impulso e nuova vita alle miniere di quell’importante combustibile. Per tutti questi motivi Stephenson concepì, nel 1813, l’idea di costruire una nuova locomotiva, che ei lusingavasi potesse riuscire più potente e più veloce di quelle già costruite. Ei sottopose questa sua idea ai proprietari della miniera, i quali avendo già apprezzato in più incontri il singolare talento meccanico dell’antico operaio, accolsero favorevolmente la sua proposta e posero a sua disposizione le somme necessarie ali’ esecuzione della macchina che egli proponevasi di costruire. Gli ostacoli eh’ ei doveva superare non erano pochi, principalissimo fra questi la difficoltà di poter disporre di operai meccanici capaci di dare forma concreta alle sue idee. Gli strumenti allora in uso nelle officine delle miniere erano imperfetti e grossolani, l’arte del costruttore di macchine era ancora lontana dallo stato di maturità ch’essa raggiunse in questi ultimi anni. Non vi era la possibilità d’una scelta. Stephenson dovette giovarsi degli uomini e degli utensili disponibili a Killingworth. La macchina fu costrutta adunque, sotto la direzione di Stephenson, nella officina addetta a quella miniera. La caldaia, di ferro battuto era di forma cilindrica, lunga 8 piedi (m 2,438) del diametro di 34 pollici (m 0,863), il focolaio pure cilindrico, del diametro di 20 pollici (m 0,508), attraversava tutta la lunghezza della caldaia ed era sormontato da un fumaiuolo dello stesso diametro. La caldaia ed il meccanismo erano sostenuti (fig. 16) da sei ruote, tre delle quali I, J, K, sono visibili nella nostra figura. Su ciascuno dei tre assi che portavano queste sei ruote erano fissate due ruote dentate di minor diametro; due catene senza fine univano separatamente queste ruote a tre a tre. Nella nostra figura si veggono le tre ruote dentate E, F, G unite dalla catena senza fine ABDG. Grazie a questa catena senza fine, tutto il peso della locomotiva veniva utilizzato a produrre la necessaria aderenza fra le sei ruote e le rotaie sottoposte. La caldaia era sormontata da due cilindri verticali H, H, del diametro di 8 pollici (m 0,203) in ciascuno dei quali lo stantuffo compieva una corsa di 24 pollici (m 0,609); l’alternato movimento di ascesa e di discesa di quei due stantuffi imprimeva analogo movimento ad un traverso orizzontale fissato sulla sommità del gambo di ciascun stantuffo; ai due estremi di ciascun traverso era articolata una biella (che non fu indicata nella fig. 16 allo scopo di lasciar scorgere l’interno della caldaia) che univasi con articolazione ad una manovella applicata a ciascuna delle quattro ruote estreme (ossia alle due ruote I, K, ed alle altre due ruote corrispondenti, invisibili nella figura). Con tale disposizione di cose, il movimento degli stantuffi, faceva girare le quattro ruote estreme e quindi - mercé le ruote dentate e la catena senza fine - anche le ruote intermedie. Per superare la resistenza derivante dal passaggio delle manovelle nei punti morti, le due manovelle applicate ad uno dei due assi motori erano disposte ad angolo retto rispetto alle due manovelle applicate all’altro asse motore. Questa locomotiva, che fu detta Blücher, potè essere sperimentata per la prima volta il 25 gennaio 1814. L’esperienza riesci felicemente; quella locomotiva trascinò dietro a sé un convoglio composto di otto carri ripieni di carbone, pesanti complessivamente trenta tonnellate, con la velocità di circa quattro miglia (circa sei chilometri e mezzo) all’ora, sopra una ferrovia in ascesa, con la salita di 1 sopra 450.

 

 

La Blücher fu la prima locomotiva costruita da George Stephenson nel 1814.

 

La Blücher presentava qualche progresso rispetto alle locomotive fino allora costrutte; tuttavia Stephenson non si addormentò sugli allori. Esaminò imparzialmente e minutamente la sua locomotiva e riconobbe che essa era ancor ben lontana dalla perfezione; riconobbe in particolare che la trasmissione del movimento mediante le ruote dentate e la catena era un sistema difettosissimo poiché dava origine a continue scosse che seriamente compromettevano l’esistenza della macchina. Dopo alcuni mesi d’esercizio, ed in base ad accurati calcoli di confronto, Stephenson riconobbe che i trasporti di carbone effettuati mercé quella locomotiva non presentavano alcuna economia né di tempo né di denaro rispetto ai trasporti fino allora effettuati sulla ferrovia con carri trascinati da cavalli. Per tali motivi la locomotiva dichiarata inutile sarebbe stata abbandonata, forse per sempre, se Stephenson non avesse tentato di perfezionarla. Egli riconobbe che la lentezza della macchina derivava dalla scarsa quantità di vapore che poteva essere generato dalla caldaia in dato tempo, conveniva quindi aumentare la produzione del vapore. Nella Blücher il vapore che aveva già servito a muovere gli stantuffi, passava dai due cilindri in un tubo di scarico e quindi nell’atmosfera. Stephenson, che era un attento osservatore, notò che il vapore usciva da questo tubo di scarico assai più rapidamente che il fumo dal fumaiuolo. Egli pensò quindi che scaricando nel fumaiuolo il vapore che aveva già funzionato nei due cilindri, il rapido movimento ascendente del vapore avrebbe notevolmente aumentata la velocità con cui il fumo usciva dal fumaiuolo, che perciò l’aria fresca si sarebbe precipitata più rapidamente nel fornello per sostituirvi quella uscita assieme al fumo su pel fumaiuolo e che per conseguenza la combustione nel fornello sarebbe riescita più attiva. Senza por tempo in mezzo, il nostro Giorgio fa entrare nel fumaiuolo tutto il vapore che esce dai cilindri; l’aria fresca si precipita con insolita rapidità nel fornello e rende straordinariamente viva la combustione; perciò la quantità di vapore sviluppatasi nella caldaia aumenta di molto : la potenza della locomotiva cresce in proporzione dall’aumento di vapore provocato da quella vivace combustione.

 

 

Nel 1815 Stephenson costruì una nuova locomotiva nella quale il getto di vapore sovraccennato animava la combustione e rendeva possibile la rapida produzione di vapore nella caldaia; soppressi gli ingranaggi e la catena senza fine, sostituì ad essa una verga rigida fissata orizzontalmente su ciascun paio di ruote. In pari tempo Stephenson si propose di rifornir d’acqua la caldaia, mercé una pompa aspirante-premente, messa in movimento dalla stessa macchina, pompa che attingeva l’acqua da un serbatoio collocato sopra un carro di scorta (in inglese: tender) attaccato in coda alla locomotiva. La figura 17 rappresenta la locomotiva così perfezionata. A rappresenta una doppia guida entro alla quale ascende e discende il gambo d’uno dei due stantuffi; la sommità E di questo gambo è attraversata da un’ asta orizzontale; a ciascun estremo di quest’ultima è articolata una biella EC che imprime un continuo movimento circolare alla manovella GB fissata sull’asse B delle ruote anteriori F; analoga disposizione serve a mettere in movimento le due ruote posteriori.

 

Locomotiva costruita da George Stephenson nel 1815.

 

Come si scorge dalla figura, la manovella BCoccupa la posizione detta del punto morto, essa  puòtuttavia superarlo assai facilmente poiché la manovella applicata alle due ruote posteriori trovasi invece orizzontale e quindi nella posizione più favorevole ; la forza impressa dal movimento dello stantuffo a quest’ultima manovella, si trasmette grazie alla biella orizzontale DD ed all'arco rigido DC, al bottone C della manovella GB. Grazie all’attento studio dei lavori altrui, a forza di pazienza, dì studii e di perseveranza, Stephenson riesci per tal modo a costruire una macchina che presentava notevoli miglioramenti su quante erano state costrutte fino allora; egli aveva ottenuta una comunicazione semplice e diretta fra i cilindri e le ruote motrici, tutte le ruote erano fra loro congiunte mercé la biella orizzontale, ed infine il vapore che gli aveva servito ad animare gli stantuffi, veniva utilizzato ad animare la combustione nel fornello, Sebbene numerosi perfezionamenti siensi poscia introdotti da Stephenson e da altri nella costruzione delle locomotive, pure convien riconoscere che la locomotiva testé descritta conteneva il germe di quanto si fece posteriormente intorno a questo argomento.

 

 

Locomotiva Locomotion costruita da George Stephenson

nel 1825 per la ferrovia Stockton - Darlington.

La nuova locomotiva di Stephenson funzionava regolarmente tutti i giorni, già da più anni, sulla ferrovia della miniera di Killingworth, senza destare tuttavia quasi alcun interesse. E si che non si trattava più d’un pazzo tentativo, ma di un fatto evidente, incontrastabile. L’esperienza prolungata per più anni aveva dimostrato che le locomotive di Stephenson funzionavano in modo più sicuro, sviluppavano maggior potenza, ed erano meno costose dei cavalli. Trascorsero otto lunghi anni prima che si costruisse un’ altra ferrovia a locomotive. Per renderci conto di questa singolare indifferenza per la più grande invenzione meccanica del secolo, convien riflettere che Stephenson non era in grado di chiamare efficacemente l’attenzione del pubblico sulla sua invenzione.

Egli era pienamente convinto della somma utilità della locomotiva, aveva piena fiducia nel trionfo finale della medesima; ma fatalmente era quasi illetterato ed incapace di formulare chiaramente i suoi pensieri intorno a quest’importante argomento. La miniera di Killingworth è ben lontana da Londra, che è il centro della vita scientifica d’Inghilterra ; nessun scienziato illustre, nessun scrittore di vaglia aveva visitata la ferrovia di Killingworth dal giorno in cui aveva incominciato a funzionarvi la nuova locomotiva di Stephenson che perciò rimase completamente sconosciuta. Sembra che persino i giornalisti delle vicinanze ne abbiano per lungo tempo ignorata l’esistenza. Aggiungi infine che la costruzione d’una ferrovia e delle necessarie locomotive richiedeva ingenti spese di primo impianto, alle quali ben pochi proprietari di miniere sarebbero stati in grado di far fronte. Stephenson incominciava a scoraggiarsi e pensava già di emigrare negli Stati Uniti d’America, nella lusinga di migliorarvi la sua posizione, quando, per buona sorte, nel 1819, i proprietari della miniera di carbon fossile di Hetton, nella contea di Durham, risolvettero di costruire una ferrovia a locomotive. Essi avevano esaminata la ferrovia di Killingworth e ne erano rimasti talmente soddisfatti che vollero adottare lo stesso sistema. La bella fama meritevolmente acquistatasi dal nostro Giorgio nella direzione della miniera di Killingworth, indusse i proprietari della miniera di Hetton a rivolgersi all’antico operaio per invitarlo a progettare la nuova ferrovia ed a dirigerne i lavori. Stephenson accettò il difficile incarico. Quella strada che doveva essere la ferrovia a locomotive più lunga di quante erano state costrutte fino allora, percorreva il paese dalla miniera di Hetton fino al luogo di imbarco sul fiume Wear presso a Sunderland, per una lunghezza di circa otto miglia (circa 13 chilometri). La conformazione molto ondulata del suolo, attraversato dalla Warden Law, una delle più alte colline di quel territorio, non permetteva di costruire senza rilevante dispendio, una ferrovia piana o con pendenze molto miti. Stephenson, che pur era profondamente entusiasta della locomotiva, sull’impiego della quale ei fondava i più lieti pronostici, non credette tuttavia opportuno di progettare lavori colossali, non volle far spendere ai proprietari della miniera di Hetton più di quanto era strettamente necessario per l’esecuzione dell’ideata ferrovia. Ei progettò e diresse la costruzione d’una ferrovia economica, l’andamento della quale si scostava ben poco dall’ andamento del suolo e concentrò in pochi tratti le maggiori pendenze, giovandosi, ove la cosa era possibile, dei piani automotori già esistest, e riserbandosi a ricorrere, pei residui tratti, dotati di molta inclinazione, all’impiego di macchine a vapore fisse, le quali, mercé robuste funi, avrebbero fatti salire i carri carichi su quegli erti pendii. In tutto il resto della strada il trasporto doveva effettuarsi con locomotive o cavalli di ferro, come venivano allora chiamate dagli abitanti della contea. La nuova ferrovia poté essere inaugurata il 18 novembre 1822, in presenza di immensa moltitudine ansiosa di assistere ai primi movimenti di quelle macchine ingegnose. L’esito fu felicissimo; cinque locomotive, costrutte sotto la direzione dell’antico minatore di Killingworth, percorsero trionfalmente la strada viaggiando con la velocità di quattro miglia all’ora (circa sei chilometri e mezzo). Ciascuna di quelle locomotive trascinava un convoglio di dieciasette vagoni, carichi di carbon fossile, pesanti sessantaquattro tonnellate. Ancor prima che la ferrovia di Hetton fosse ultimata, nella primavera del 1821, Stephenson venne a sapere che in quella stessa contea di Durham si voleva costruire una ferrovia per congiungere le ricche miniere di carbon fossile di Darlington col porto di Stockton sul fiume Tees; i concessionari di questa ferrovia non avevano neppur pensato alla locomotiva, ma avevano stabilito di trasportare il carbon fossile a forza di cavalli. Stephenson che non poteva darsi pace di ciò che non si pensasse a far uso della sua cara locomotiva, pregò il suo buon amico Wood a volerlo presentare a Pease, il promotore della progettata ferrovia da Darlington a Stockton. Pease ignorava completamente i buoni servigi che la locomotiva rendeva già da più anni alla miniera di Killing’worth; Stephenson gli espose con tutta l’eloquenza derivante dalla più profonda convinzione, i vantaggi della locomotiva, e con profetico accento asserì che di lì a non molto, su tutte le ferrovie, i cavalli avrebbero dovuto cedere il posto alle locomotive. Il franco e semplice linguaggio del già operaio meccanico di Killingworth piacque a Pease; questi aderì alla proposta di Stephenson, che lo invitava a recarsi a Killingworth per riconoscere sul luogo la verità di quelle asserzioni. Pease, rimasto pienamente soddisfatto, riferì ogni cosa ai direttori della nuova ferrovia; e questi affidarono a Stephenson (nel 1823) l’incarico di progettarla e costruirla, lo nominarono ingegnere della compagnia, assegnandogli l’annuo stipendio di trecento sterlini (circa 7500 franchi). Stephenson pensò fin da principio a dotare la nuova ferrovia di buone locomotive; ei riconosceva che le locomotive costrutte dai poco abili meccanici che si avevano nelle vicine miniere di carbon fossile erano assai lontane da quella perfezione che era pur necessaria per assicurare il pieno trionfo della locomotiva; riconobbe quindi l’opportunità di fondare un apposito stabilimento meccanico per la costruzione di queste macchine ingegnose. Il nostro Giorgio possedeva già un piccolo capitale; le mille sterline ottenute dalla sottoscrizione aperta fra i proprietari di miniere, l’occasione della sua invenzione della lampada di sicurezza, erano tuttora intatte. Egli nutriva piena fiducia nell’avvenire della locomotiva e presagiva che i denari impiegati nell’erezione di quello stabilimento meccanico avrebbero dati frutti assai generosi ; ma ritenendo necessario un capitale maggiore, non credeva possibile avventurarsi da solo in quell’impresa; comunicò queste sue idee al ricco Pease, e questi, fidando nell’ingegno e nella moralità dell’antico operaio, pose a di lui disposizione mille sterline.

Nell’agosto del 1823, Stephenson acquistò un terreno presso a Newcastle, vi eresse una piccola officina, che fu il nucleo dell’immenso stabilimento, ancor esistente, dal quale uscirono le prime locomotive che abbiano funzionato, non solo in Inghilterra e sul continente europeo, ma benanco in Africa ed in America. L’erezione di quest’officina non faceva dimenticare a Stephenson i doveri che gli derivavano dall’incarico affidategli; la costruzione della ferrovia da Stockton a Darlington progrediva celeremente sotto l’abile direzione del nostro Giorgio. Il suo amico e compagno Giovanni Dixon, che fa poi uno dei più distinti ingegneri del Regno Unito, racconta il seguente fatto: un giorno, dopo aver percorso, in compagnia di Giorgio e di Roberto, un lungo tratto della nuova ferrovia, per ispezionarvi i lavori in corso di costruzione, andarono a rifocillarsi in una piccola taverna, lungo la strada. Dopo un pasto frugale Giorgio rivolse queste parole ai suoi due compagni: “Miei giovani amici, permettetemi ch’io vi esprima una mia profonda convinzione: voi vivrete abbastanza per veder sorgere un giorno nel quale tutti i mezzi di trasporto ora in uso in questo paese saranno detronizzati dalla strada ferrata; i dispacci postali saranno trasportati dalla forza del vapore, le strade ferrate serviranno egualmente tanto il re quanto l’infimo dei suoi sudditi. Non è lontano il giorno in cui l’operaio spenderà meno viaggiando in strada ferrata che viaggiando a piedi. So bene che si incontreranno grandi e quasi insuperabili difficoltà; ma ciò che io vi dico dovrà verificarsi come è vero che noi siamo qui. Vorrei poter viver tanto da vedere io stesso quel giorno fortunato , ma non oso sperarlo: conosco per esperienza quanto sieno lenti gli uomini ad avviarsi col progresso; io so quanti ostacoli dovetti superare per far adottare la locomotiva che pur diede ottimi risultati a Killingworth per ben dieci anni”. La profezia di Giorgio fu splendidamente confermata dai fatti, ed egli stesso potè godere del trionfo delle sue idee.

La strada ferrata Stockton-Darlington

 

La ferrovia da Stockton a Darlington fu inaugurata il 27 settembre 1825. Con gran meraviglia di tutti, una locomotiva, uscita dall’officina di Newcastle, rimorchiò con la velocità di 6 miglia (circa 10 chilom.) all’ora, un enorme convoglio composto di 37 carri ripieni di carbone, ed una vettura riservata ai direttori della compagnia ed a qualche invitato. Da quel giorno in poi la ferrovia incominciò a funzionare regolarmente con esito di gran lunga superiore alle più ardite speranze dei fondatori. Lo scopo principale che essi avevano avuto in mira, era quello di favorire particolarmente i trasporti di carbon fossile, ma in breve la ferrovia fu percorsa non solo da convogli carichi di merci d’ogni genere, ma benanco da apposite carrozze destinate al trasporto di passeggeri; da principio queste erano esclusivamente rimorchiate da cavalli, ma a poco a poco si rinunciò ai cavalli, e la ferrovia fu percorsa soltanto da locomotive.

La locomotiva Locomotion

 

Le tre locomotive appositamente costrutte nell’officina di Stephenson pel servizio di questa ferrovia furono in breve insufficenti, fu mestieri costruirne delle altre. La velocità di queste macchine, che in oggi si direbbe mediocre, era straordinaria per quei tempi, La macchina N. 1 era ancora in buon stato nel 1846; in quell’anno essa fece un viaggio con la velocità di 14 miglia (circa 22 chilometri e mezzo) all'ora.

Questa locomotiva, che fu la prima a circolare sopra una ferrovia aperta al pubblico, è stata recentemente collocata come storico monumento sopra un piedestallo di fronte alla stazione ferroviaria di Darlington. L’esperienza suggerì gradatamente parecchie modificazioni nell’ esercizio di quella ferrovia: i promotori non avevano, a prima giunta, misurata tutta l’importanza del lavoro eseguito; nessuno di essi credeva d’aver poste le fondamenta d’un sistema che doveva in breve produrre una rivoluzione completa nei mezzi di comunicazione di tutti i paesi, un sistema che doveva spandere fra poco immensi benefici sull’intero genere umano.

È bene notare che l’esito favorevole dell’apertura della ferrovia Darlington-Stockton ebbe grandissima influenza nel successivo e rapido sviluppo delle comunicazioni ferroviarie.

Quella ferrovia che presentava immensi benefici agli abitanti del paese, che apriva ampio sfogo ai carboni fossili di quel territorio, diede pure dividendi assai lauti ai capitalisti che avevano coraggiosamente arrischiate ingenti somme nell’esecuzione di quell’opera. Questi brillanti risultati finanziarii contribuirono non poco a stimolare i capitalisti ad iniziare in più luoghi consimili imprese.

 

I brillanti risultati forniti dalla ferrovia Stockton-Darlington furono di gran lunga superati da un’altra linea ferroviaria inglese: la Liverpool-Manchester. Questa strada ferrata e la gara di Rainhill, nella quale vinse la locomotiva Rocket progettata da Giorgio Stephenson, saranno argomenti trattati in altra parte.

 

Il popolo inglese, che ha per motto time is money (il tempo è denaro), apprezzò tosto il nuovo e rapidissimo mezzo di comunicazione, ne riconobbe tutta l'importanza; nel 1832 veniva collocata la prima pietra della strada da Londra a Birmingham, la direzione della quale fu affidata a Giorgio Stephenson. Nel 1834 all'adunanza di Tamworth il ministro Roberto Peel pronunciava queste rimarchevoli parole: “Affrettiamoci, signori, affrettiamoci a stabilire comunicazioni a vapore da un capo all'altro del Regno; solo in questo modo potremo conservare alla Gran Brettagna l'alto posto che essa occupa fra le nazioni.” Questo saggio consiglio fu entusiasticamente seguito; l'industre popolo inglese, senza chiedere sovvenzione alcuna al governo, coprì in pochi anni tutto il suolo d'Inghilterra con una fitta rete di strade ferrate. Nel 1843 il Regno Unito possedeva già 10041 chilometri di ferrovie aperte al pubblico; nel 1855 se ne contavano 13315 (ripartiti per 9986 nell'Inghilterra e paese di Galles, 1742 nella Scozia e 1587 in Irlanda); al 31 dicembre 1867 erano aperti all'esercizio 22928 chilometri di strade ferrate (di cui 16153 in Inghilterra e paese di Galles, 3672 in Iscozia, 3103 in Irlanda). Valutando a 30 milioni la popolazione del Regno Unito, eravi quindi in media chilometri 0,76 per ogni mille abitanti. La costruzione di ferrovie era stata, fino al 1844, l'opera, delle classi laboriose; la maggior parte degli azionisti apparteneva ai paesi manifatturieri, i capitalisti della metropoli inglese mostravano poca fiducia in quelle operazioni. Ma quando gli splendidi risultati ebbero dimostrata la fallacia delle previsioni degli uomini di banca; quando allo spirare d'ogni anno si poté riconoscere un progressivo e rapido aumento nei trasporti ferroviari e quindi anche nei dividendi, i capitalisti di Londra mutarono avviso, si slanciarono con vero furore nelle imprese ferroviarie, le azioni di strade ferrate divennero uno dei più importanti titoli della Borsa di Londra, il prezzo di alcune salì oltre il doppio del loro valore primitivo.

 

Tipico passaggio a livello inglese.

La sete di guadagno si propagò ben presto anche fra il pubblico fino allora estraneo agli affari bancarii; ne derivò uno spirito di pazze speculazioni che cangiò completamente il carattere e lo scopo di quel genere di imprese. Migliaia e migliaia di persone, del tutto ignoranti in fatto di ferrovie, che nulla sapevano e nulla si curavano sapere della importanza sociale di quel potente strumento di civiltà, si precipitavano a gara a domandare e a sottoscrivere azioni per linee ferroviarie di là da venire, ad essi ignote completamente sotto ogni riguardo. L'importante era avere azioni ferroviarie per poterle poi rivendere con premio ed intascare in tal modo lauti benefici con poca fatica. Questa febbre invase tutte le classi della Società, mercanti e manifatturieri, borghesi e bottegai, impiegati e persino gli oziosi dei club.

I pochi uomini avveduti che sfuggivano alla funesta malattia dell'aggiotaggio furono accusati di ingiustizia verso le loro famiglie, poiché ricusavano di attingere a quelle presunte cornucopie d'abbondanza. La pazzia da una parte e la furfanteria dall'altra salirono per qualche tempo all'apogeo; i cavalieri d'industria, gli aggiotatori, i progettisti andavano ingrossando, lanciavano da ogni parte progetti di ferrovie.

I giornali riboccavano dei loro annunzii; la posta bastava appena a diramare le loro circolari, i loro programmi. Vi fu un breve periodo durante il quale quei furfanti godettero immensa popolarità. Come la schiuma, si portarono a galla, giunsero ai più alti gradi della società, e grazie alle supposte loro ricchezze, furono ammessi nei circoli più elevati, ed idolatrati come divinità. Quella fu un'età d'oro per tanti legali senza scrupoli, agenti parlamentari, ingegneri, geometri, imprenditori sempre pronti ad occuparsi d'una ferrovia per quanto stravagante potesse essere, sempre pronti a dimostrare la certezza d'un traffico rilevante per linee sulle quali non poteva esistere traffico alcuno. Non è a dirsi quali e quante rovine susseguirono a quella sfrenata manìa di guadagno.

Fino a che durò quella frenesia per le strade ferrate Giorgio Stephenson fu costantemente supplicato, ma sempre invano, di lasciar inscrivere il suo nome in quei lusinghieri programmi. Non solo ei si tenne in disparte, ma fece anzi qualche tentativo per smorzare quel funesto ardore del pubblico. Con minor coscienza, accogliendo le numerose proposte che gli venivano indirizzate, avrebbe potuto col solo suo nome procurarsi enormi benefici, ma ei respingeva le ricchezze quando non dovevano essere il frutto d'un lavoro onorato. — Aderiva invece assai di buon animo a giovare coi suoi saggi consigli a tutte le imprese che mostravano uno scopo realmente pratico ed utile.

I suoi consigli erano reclamati da tutti, non solo in Inghilterra ma benanco sul continente. Fu per tal motivo che aderendo all'invito del saggio Leopoldo I, Stephenson recossi a due riprese nel Belgio durante il 1845 per studiarvi il tracciamento più conveniente per le ferrovie progettate nel territorio della Sambra e Mosella ed in quello della Fiandra occidentale; in tale incontro ebbe una lunga conferenza con re Leopoldo che mostrò di apprezzare altamente le belle doti dell'antico operaio.

 

Stazioncina di campagna costruita a Pangbourne nel 1840.

 

Nello stesso anno Giorgio Stephenson fece un viaggio in Ispagna per pronunciare un giudizio intorno al tracciamento più conveniente per la ferrovia da Madrid al golfo di Biscaglia. La carriera di Giorgio volgeva al termine. Già da alcuni anni erasi ritirato a poco a poco dai grandi lavori ferroviarii, e limitavasi a condurre alcune imprese per conto suo particolare. Nel 1840, dopo aver compiute le grandi linee delle contee del centro, annunciò pubblicamente la sua intenzione di ritirarsi dalla carriera dell'ingegnere. Aveva ormai raggiunta la sessantina e sentiva il bisogno di godere del ben meritato riposo. Col consenso delle Compagnie interessate, Giorgio cedette a suo figlio Roberto, che era ormai giunto all'apice della carriera come uno fra i più eminenti ingegneri di ferrovie, tutte le cariche ufficiali ch'egli occupava nelle varie Società. Giorgio limitossi a dirigere le vaste miniere di carbon fossile acquistate col frutto delle sue fatiche, e la manifattura di locomotive da lui fondata a Newcastle, fino dal 1824, manifattura che era andata gradatamente crescendo d'importanza ed aveva già prodotti lautissimi guadagni all'intelligente e perseverante fondatore.

La maggior parte del suo tempo ei rimaneva nella sua villa di Tapton-House, distante un miglio dalla città di Chesterfield, dedicandosi con amore all'agricoltura, istituendo utili esperienze intorno agli ingrassi ed all'allevamento dei bestiami. Spesse volte ei recavasi ai comizii agrarii che si tenevano or qua or là nel circostante territorio; ei prendeva parte alle discussioni e spiegava nelle questioni di economia agricola, di drenatura, e simili altrettanto vigore, altrettanto spirito pratico quanto ne aveva già mostrato nella meccanica e nell'arte dell'ingegnere.

Nelle relazioni coi suoi vicini era semplice, schietto, senza pretese: rammentava, senza falsa umiltà e senza orgoglio, i tristi giorni della sua giovinezza. I mille operai che trovavano lavoro nelle sue miniere e nelle sue officine, avevano in lui, non un padrone, ma un padre: apriva scuole, fondava case di soccorso e di previdenza; instituì una sala di lettura ed una libreria circolante per gli operai; si occupò sino all'ultimo momento, del benessere di quelli che lo circondavano e lavoravano per lui; il cuore dell'antico operaio minatore era rimasto immutabile nel petto del milionario. Non un bisognoso picchiò inutilmente alla sua porta. Quando veniva a cognizione di gualche grave mancanza commessa da un operaio, lo faceva venire al suo cospetto e lo rimproverava severamente, ma con gli occhi bagnati di lagrime; dopo la predica egli schiudeva la sua borsa ed offriva al peccatore pentito il mezzo di fare un nuovo ingresso sulla scena del mondo. La mente riflessiva dell'antico minatore di Killingworth non si riposava mai; ogni oggetto, per quanto indifferente potesse sembrare ai volgari, era per lui argomento di studio e di meditazione.

 

La grande stazione di San Pangrazio a Londra.

Si notino sul lato sinistro le carrozze che portavano i passeggeri fin sulla banchina dei binari.

 

Passeggiando pei campi coi suoi amici ei si compiaceva di chiamare la loro attenzione sovra i più semplici oggetti: una foglia, un filo d'erba, un pezzo di corteccia d'albero, una formica, un nido d'uccelli, gli servivano di punto di partenza per discorrere del mirabile organismo degli esseri, per sollevare le più importanti questioni scientifiche. Il ministro Roberto Peel, che nutriva particolare stima per Giorgio Stephenson, lo aveva invitato più volte a recarsi nella sua residenza di Drayton, ove, nelle vacanze parlamentari, raccoglievansi intorno al ministro gli uomini più distinti d'Inghilterra. Stephenson rifiutò dapprima, poi cedette alle insistenze del ministro, e per tal modo strinse amicizia col distinto naturalista Buckland. Passeggiando un giorno in compagnia di quest' ultimo sul terrazzo di Drayton, Stephenson vide passare da lontano un convoglio ferroviario trascinato a gran velocità dalla locomotiva. — Buckland, diss'egli all'amico, permettetemi una domanda: qual è la forza che fa camminare quel convoglio? — Che volete che sia? non può essere che una delle vostre macchine. — Sta bene, ma chi fa andare la macchina? — Sarà probabilmente qualche meccanico di Newcastle, vengon tutti di là. — E se vi dicessi che è invece il calore solare? — E come? — È precisamente cosi, proseguì Stephenson. È il calore solare immagazzinato nell'interno della Terra pel corso di milioni e milioni di secoli, calore che fu assorbito da antichissime piante. Senza quel calore le piante non si sarebbero formate, e il carbon fossile non esisterebbe nell'interno della Terra.

Quel calore rimasto sepolto per sì gran numero di secoli nell'interno del carbon fossile, vien ora utilizzato, come nella locomotiva che abbiam veduta, pei bisogni dell'uomo. Il 26 luglio 1848 Stephenson erasi recato a Birmingham per assistere alla riunione del collegio degli ingegneri meccanici di quella città e per leggervi una sua memoria “intorno ai sofismi della macchina rotatoria.”

Di ritorno a Tapton, fu colto da febbre intermittente che gli tolse la vita il 12 agosto 1848 nel suo settantasettesimo anno. La sua morte fu un lutto pubblico per l'Inghilterra. La stampa di tutti i partiti, il Parlamento, le classi operaie, ogni ordine di cittadini espressero il dolore comune per la morte di un tanto uomo; il quale, colla perseveranza e colla inflessibile integrità del carattere, avea mostrato quanto si può fare anche quando la sorte ci fa nascere nella più umile condizione. Nel suo testamento non dimenticò gli antichi compagni delle miniere; lasciò numerosi legati affinché fossero mantenute le istituzioni di beneficenza che avea fondate.

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Le incisioni che corredano l'articolo appartengono alla collezione A. Gamboni;

la foto del cottage è tratta da internet.