Testo e foto di Diego De Rosa

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IL PROGETTO E LE FONTI

 

Nel mio ambizioso progetto di costruire i modellini di tutti i tipi tram che hanno circolato e circolano per Napoli (finora ne ho realizzati otto), avendo ultimato il più recente, cioè il Sirio, mi portavo nel cuore il desiderio di creare anche il modellino di quello più antico: Diatto & Benvenuti del 1899 matricola "1".

Le principali difficoltà le ho trovate nel reperire materiale documentale soprattutto fotografico, non solo perché raro, ma anche perché, trattandosi di foto di 110 anni fa, non sono nelle migliori condizioni di nitidezza. Mi sono dunque avvalso dell'insostituibile supporto dei noti testi sulla storia dei trasporti di Napoli(1), di qualche foto trovata su internet e della insostituibile e oserei definire stabile consulenza di uno degli autori dei testi suddetti, massimo esperto nel settore dei trasporti pubblici napoletani, il prof. Andrea Cozzolino.

Di fondamentale importanza è stata soprattutto la foto di un rottame: una Diatto in fase di rifacimento a Croce del Lagno, perché mi ha permesso di risolvere il più grosso problema in cui un modellista si imbatte quando si imbarca nell'impresa di realizzare un veicolo non più esistente e di cui non si conserva memoria tra i viventi: gli interni di queste vetture. Eh già, perché degli esterni le foto si trovano, ma quasi mai nessuno ne ha fotografato gli interni (anche per le difficoltà che c'erano all'epoca nel fare una foto). Nel guardare dunque il materiale documentale, ho notato una cosa: le Diatto erano molto somiglianti ad altri tram che appena un anno dopo fecero la loro comparsa a Napoli: la prima serie delle Franco Thomson & Houston. Anche di questi prima o poi avrei dovuto realizzare il modellino, per cui ho risolto di farli entrambi.

Realizzare insieme due modellini simili può risultare un lavoro un po' noioso, ma permette anche di risparmiare molto tempo. Però, essendo molto simili tra loro, ho deciso di fare la Thomson non allo stato d'origine, bensì come si presentò dopo la prima modifica, allorché a seguito degli scioperi dei tramvieri del 1902 (e degli anni seguenti), si decise di chiudere le piattaforme con delle strutture posticce in legno, notevolmente sporgenti rispetto alla parte inferiore, onde meglio riparare il personale dalle intemperie.

Oltretutto queste chiusure, per quanto orribili, rendono caratteristiche e simpatiche queste vetturette. Per il secondo modellino ho scelto la matricola 114, in quanto disponevo di una foto abbastanza nitida proprio di questa vettura.

Ideando un modello, bisogna studiare con molta attenzione anche i più piccoli dettagli dell'originale, se si vuole fare una riproduzione filologica. In alternativa ci sarebbe la fantasia: chi si accorgerebbe che si sta inventando, laddove mancano riferimenti oggettivi? Ma per una mia scelta quasi "morale", in tanti anni rarissimamente (mi verrebbe da dire "mai", ma temo di peccare di presunzione) ho inventato.

Laddove mi mancavano le fonti, mi sono ispirato a vetture della stessa epoca e magari della stessa fabbrica per compensare queste lacune. Nel caso della Diatto una fonte alternativa è l'omonimo tram storico di Torino, matr. 116, anche se posteriore a quello napoletano di ben 12 anni. Ma meglio questo che inventare …

 

I MODELLI

 

Dopo questa necessaria premessa, passo alla descrizione dei modelli. I modelli sono in scala 00 (alias 1:76), una scala che mi risulta più comoda dell'H0 sia per problemi di vista che per problemi di spessore dei materiali. Sono realizzati quasi esclusivamente in plasticard, fatta eccezione per le ruote, la rotella del trolley, il volantino della sabbiera, i supporti delle panche e qualche altro particolare che sono in metallo.  

   

Galleria degli stupendi modelli finiti ripresi da ogni angolazione.

LA CASSA

 

Ogni lato del comparto viaggiatori si compone di più strati e, per evitare il rischio delle sbavature di colore, li tinteggio separatamente e poi li assemblo. Per quanto riguarda le pareti coi finestrini, abbiamo i seguenti strati:

- uno strato centrale in stirene trasparente (per realizzare i vetri dei finestrini) dello spessore di 0,10 mm, grande quanto tutta la parete;

- due strati di plasticard da 0,25 mm in cui sono stati intagliati i sei finestrini che vanno a costituire i telai degli stessi. La distanza tra un finestrino e l'altro è di 3 mm. Anche questi due strati sono grandi quanto tutta la parete: questo infatti conferisce solidità ed omogeneità alla struttura;

- uno strato in plasticard da 0,25 mm incollato all'interno della cassa nella parte inferiore ma 1 mm sotto il taglio dei finestrini per metterne in evidenza il telaio;

- listelli da 1 x 0,25 mm, collocati tra i finestrini nel lato interno della cassa. Il millimetro che esubera nella parte sottostante ogni listello da entrambi i lati, rende l'idea del telaio del finestrino (foto 5);

- un listello posto nella parte superiore, trasversalmente ai suddetti, sempre da 1 x 0,25. Il millimetro che esubera nella parte sottostante il listello serve per dare l'idea del telaio (foto 5);

- passando invece all'esterno della cassa ho seguito lo stesso procedimento dei listelli per rendere l'idea del telaio dei finestrini (foto 6).

Foto 5 - Interno del comparto passeggeri ripreso prima di essere assemblato.

Foto 6 - Lo stesso in fase di montaggio.

Nella parte inferiore ho invece usato listelli di varia grandezza ma dello spessore di 0,50 mm e incrociandoli tra di essi ho suddiviso la parete esterna in sette settori: uno lungo che corre al di sotto dei finestrini e altri sei settori al di sotto di essa, in cui ho inserito sei rettangoli dello spessore di 0,10 mm (foto 6). Lo stesso procedimento degli strati sovrapposti è stato seguito nella realizzazione delle tre paretine che separano la prima dalla seconda classe e il compartimento viaggiatori dalle piattaforme. Per quanto riguarda le panche (foto 5), ho usato del plasticard rigato in listelli da 1 mm di spessore. Per la forma dei sediolini e per tutte le volte che devo piegare il plasticard in una forma particolare, realizzo sempre a parte la forma in legno, su cui lego con nastro adesivo il pezzo o il listello di plasticard, immergendo il tutto tre volte (per 20 secondi alla volta) in acqua bollente.

Per le forme più difficili (come nel caso delle panche) l'operazione va ripetuta anche una seconda volta.

I banchi guida, molto probabilmente uguali in entrambi i tram, li ho realizzati ispirandomi ad una foto della Diatto matr. 1 a piazza Dante, dove risultano particolarmente nitidi. Leva del freno, controller, inverter sono tutti realizzati in plasticard e composti di piccolissimi pezzi assemblati manualmente. Il pavimento del compartimento viaggiatori (foto 7) risulta dall'accostamento di due pezzi di plasticard liscia a un pezzo centrale di plasticard ondulata, mentre il pavimento delle piattaforme (foto 8), che ho dovuto curare di più in quanto più visibile, è composto da tanti listelli di plasticard larghi 0,50 mm e spessi 0,25 incollati su un supporto liscio e distanti tra loro appena mezzo millimetro. Come ho fatto? Segreto professionale. Ma non è troppo difficile arrivarci. Ultimata la verniciatura, ho applicato alla Diatto le decals (realizzate su commissione da una ditta specializzata) delle filettature, e a entrambi i tram quelle degli stemmi comunali e dei numeri di matricola.  

   

Foto 7 - 8 - Interno del comparto con evidenza del pavimento e dettaglio delle preziose piattaforme.

IL TRUCK

 

I Truck Brill 21E (identico in entrambe le vetture - foto 9) è stato incollato pezzo per pezzo. Grazie alle numerose foto di questo truck che si trovano su internet, ho potuto riprodurlo sin nei minimi particolari. Anch'esso è tutto in plasticard fatta eccezione per le ruote (a raggiera, anche se non si vede) e le molle, da me realizzate con filo di stagno. Per realizzare il truck mi sono occorse numerose forme in legno su cui legare i pezzi da immergere in acqua bollente.

Foto 9 - Quasi un lavoro di filigrana orafa l’intreccio dei sottili fili del truck.

IL TETTO

 

Il tetto (foto 10), in genere una delle cose più difficili, è stato realizzato in settori: i cascanti laterali della cassa, l'imperiale, la copertura delle piattaforme e poi assemblato e verniciato. Mi sono servito anche qui di forme in legno e di acqua bollente. Per il sottotetto (foto 11), non avendo alcun riferimento documentale, mi sono riferito alla Diatto torinese e ad altri tram d'epoca (anche esteri) coevi. Vi ho collocato sei lampadine (che ho ricavato tagliando le punte alle microlampade usate per i presepi e gli alberi di Natale, incollando ciascuna su un listello tondo dal diametro di 1 mm x 1 mm di altezza). Ogni lampadina è stata poi incollata su un cerchietto di plasticard da 3 mm di diametro, ritagliato con l'uso di una foratrice (quelle usate per i buchi alle cinture) per fare i portalampada. Ho anche messo i campanelli con i quali il personale in coda, tramite l'uso di una corda, comunicava col conducente. Ho anche incollato quattro corrimano muniti di tre maniglie ciascuno. Le maniglie le ho ottenute avvolgendo del filo di stagno da 0,25 mm attorno a un listello dalla forma di un quarto di cerchio.

      

Foto 10 - Il tetto della Thomson con evidenza della tabella.

Foto 11 - Non meno pregiato il sottotetto dove non sono stati lesinati preziosismi.

LE TABELLE

 

Uno dei primi pensieri che mi accompagnano quando inizio un modellino, è come tabellarlo. Quando ero alle prime armi davo sfogo alla fantasia e talvolta ho preso grossi granchi. In seguito ho preferito attenermi alle tabelle ritratte nelle foto dei tram che riproduco, così sono certo che quel tram ha fatto quella determinata linea. Non è stato un problema tabellare la Diatto, visto che all'inizio faceva la linea che da piazza Dante porta a San Martino. Ma per le Thomson avevo un desiderio. Sono nato a piazza Carlo III e resto legato a quella piazza per la quale passava una linea sicuramente secondaria ma ancora ricordata dagli anziani che abitano nella zona dell'Arenaccia: la 13. Qualcuno afferma (ma credo erroneamente) che la zona dell'ex Centrale del Latte venisse chiamata 'o tridice non solo in riferimento al colle Trevice o Lotrecco che lì si trova, ma anche perché lì stazionava il tram 13. Scelsi di fare il modellino della 114 proprio perché, a parere del prof. Cozzolino, poteva aver fatto quella linea. Poi, in corso d'opera, decisi di attenermi alla foto dell'originale e come quello tabellarlo 4. Ma quando stampai la tabella del 4 (caratteri bianchi su fondo rosso) il risultato fu estremamente scadente. Potevo rivolgermi a qualche ditta specializzata, ma per contenere i costi ritornai all'intenzione originaria e voilà … ecco il 13!

 

CONCLUSIONE

 

I modellini non sono in vendita, né lavoro su commissione: troppo il tempo che occorre, immane il lavoro e per farlo la motivazione non può essere il guadagno ma la passione. Tuttavia, per chi volesse cimentarsi nel realizzarne un altro, metto a disposizione i miei disegni e la mia esperienza.  

 

(1) Bevere E., Chiaro G., Cozzolino A., Storia dei trasporti urbani di Napoli, Cortona, Calosci, 1999 (2 voll.).

 

I MODELLI RIPRODOTTI

COM’ERANO NELLA REALTA’

di Gennaro Fiorentino

Passata la fase non breve di stupore ed ammirazione di fronte alla maestria dell’autore dei modelli riprodotti, mi fa piacere riferire qualche sommaria notizia sui tram com’erano nella realtà. Mi è di fondamentale ausilio la consultazione dell’opera in due volumi (già peraltro citata) sulla “Storia dei trasporti urbani di Napoli” di Bevere-Chiaro-Cozzolino. Per ciò che riguarda il modello Diatto (matricola 1), dal nome del costruttore torinese della serie che peraltro aveva un opificio a Napoli nel quartiere Vasto, esso apparteneva alla prima fornitura di vetture al servizio della neonata rete elettrificata napoletana. È certo che avesse un truck Brill 21E (molto diffuso anche come dotazione di gruppi successivi) con un motore GE 57 da 100 CV.

Caratteristica peculiare di questo modello era la doppia piattaforma aperta che tante proteste suscitò presso il personale viaggiante sottoposto in tal guisa alle intemperie. Come in pratica tutti i veicoli tramviari dell’epoca, era bidirezionale. Immesso in servizio nel 1900, talune scritture ufficiali la direbbero radiata addirittura il Febbraio del 1946.

La seconda vettura riprodotta è la 114 (matricola originale mai mutata), costruita dalla sede parigina delle industrie di origine americana Thomson & Houston. Il lotto, più recente di quattro anni rispetto (1903) alla Diatto e che perciò mostra già qualche segno di progresso, era a sua volta diviso, a seconda della motorizzazione, in due sottogruppi per un totale di 135 vetture. Ciò intendeva soddisfare la massiccia espansione che stava assumendo la la rete elettrica al servizio del trasporto tramviario urbano. La macchina in questione era equipaggiata con motore GE54. Aveva una lunghezza di 7,3 metri e si distingueva per la capacità di avere un truck che poteva accogliere una carrozzeria intercambiabile a seconda della stagione (aperta o chiusa). Inoltre, il tetto era completato da un lucernario per permettere un’ulteriore penetrazione di luce all’interno.

Anche la 114, come la Diatto e le altre sorelle della serie, aveva all’origine piattaforme aperte. In seguito esse furono chiuse prima in forma posticcia (come è rappresentato nel modello) e poi in maniera stabile, per rispondere, anche in questo caso, alle lecite proteste dei conducenti.

La 1 e la 114 appartenevano entrambe alla S.A.T.N. (Societé Anonyme des Tramways Napolitains) che all’epoca gestiva il trasporto urbano a Napoli. La loro livrea era costituita da un elegante accostamento tra giallo e rosso che evocava i colori simbolo della città di Napoli.

Una 107 “sorella” della 114 riprodotta fotografata in piazza  Trieste e Trento.

 
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