di Gennaro Fiorentino

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La rivista “Trains magazine".

La recente trasmissione su un canale RAI di un bellissimo film di ambientazione ferroviaria, ha risvegliato curiosità mai soddisfatte e ricordi mai cancellati di quella vecchia pellicola che ho sempre amato.

Come spesso mi accade, per aggiornare il mio hobby della settima arte, ho consultato il ben informato sito americano IMDB. Ho così scoperto che, tra l’altro, la preziosa opera è stata definita dalla prestigiosa rivista “Trains magazine”, il miglior film tra cento selezionati, dove i treni hanno la loro parte. Non c’è voluta molta riflessione per desiderare di entrare in possesso del fascicolo dove i 100 film venivano giudicati e raccontati.

Grazie alla provvidenziale rete, ho scoperto che la citata rivista è un prodotto editoriale facente parte di un autentico supermercato virtuale, in realtà un vero e proprio impero, fornitissimo di tutto ciò che possa occorrere al ‘fer-patito’. Dopo qualche tempo il prezioso giornale era tra le mie mani pronto ad essere sfogliato con emozione e desiderio di apprendere. Da qui alla voglia di condividere con voi questa inusitata hit parade dei film con le ferrovie, il passo è stato breve.

L’apprezzabile lavoro è stato prodotto dal giornalista e critico cinematografico John Farr e presenta, secondo la mia opinione, luci ed ombre pur riconoscendo la sua originalità ed unicità.

Ma per potermi addentrare in una sua critica anche se costruttiva, ritengo pormi una domanda. Quando è che un film si può definire “ferroviario” tanto da essere annoverato in tale categoria? Secondo il mio parere, quando il treno vi compare in buona parte del suo svolgimento tale da essere definibile come protagonista o comunque comprimario. Osservando invece la classifica dei 100 più grandi film di treni, si deduce che Mr. Farr è stato di manica più larga. Egli definisce ferroviaria la pellicola dove il treno riveste importanza nello svolgimento della trama; anche se si vede poco o addirittura è frutto di una ricostruzione, come talvolta accade, negli Studios sotto forma di simulacri più o meno ben fatti. Ecco in sintesi il solco che divide la nostra posizione. Però questo disaccordo viene clamorosamente sanato dal primo classificato dell’elenco che vi rivelerò solo alla fine di queste note.

Per una questione di sinteticità, mi limiterò ad elencarvi i primi 15 classificati che mi ripromettevo di limitare a 10 ma che una sorprendente scoperta mi ha indotto ad ampliare. Ma prima di ciò, volevo spendere qualche parola un po’ in generale sulla classifica. Si nota che, com’era prevedibile, il suo estensore privilegia i film americani. In tal senso ci sembra sorprendente che il nostrano “C’era una volta il West” di Sergio Leone, dedicato alla storia della ferrovia americana, sia stato omesso, malgrado l’illustre e compianto regista sia ben conosciuto negli USA.

Certo non mi sarei aspettato, per esempio, “Operazione Piovarolo” oppure “Caffè Express”, di schietto respiro nazionale. Trovo invece presente al 76° posto “Il colonnello Von Ryan” che, anche se non privo di difetti, si fece all’epoca ben apprezzare per le scene ferroviarie.

Abbastanza strano e discutibile, per i citati motivi, appare la presenza di “A qualcuno piace caldo” al 31° posto e “La stangata” al 37°. Due capolavori, è vero, ma in ambedue i casi il “cavallo di ferro” c’entra poco ed è addirittura opera di ricostruzione in interni. Presente invece a pieno titolo in “Wagon lits con omicidi” classificandosi al 52°.

Non manca, ed anch’esso con merito, “Io non credo a nessuno” con un più che onorevole 40° posto. La pellicola fu segnalata da un nostro socio per la significativa presenza del treno, che ne suggerì un articolo. Consiglio che seguimmo dopo aver acquistato l’interessante DVD.

Prima di passare all’esame della classifica alta, volevo concludere questo esame generale segnalando la presenza di “Assassinio sul treno” in 67° posizione e “Teresa Raquin” al 71°. Si tratta di due noir dove la ferrovia funge da sfondo a due cruenti delitti da cui si sviluppa un’interessante trama, nel primo caso in chiave brillante e nel secondo più che drammatica. Ma andiamo alla classifica alta.

Al 15° posto e con mia viva sorpresa, troviamo l’italiano “Il ferroviere” di Pietro Germi del 1956 sotto il titolo inglese “Railroad Man”. Vi abbiamo dedicato un ampio articolo in questa rubrica.

Fotogramma spettacolare di uno scontro mancato tratto dal film “Il ferroviere".

Saliamo al 14° posto ove si colloca la pellicola di produzione USA “Questa è la mia terra” di H. Hashby (tit. orig. “Bound for glory” 1976 USA colore). Ambientato negli anni della depressione del 1936, narra le vicende di un giovane texano in cerca di fortuna verso la California che raggiunge scroccando passaggi da vari treni merci.

Al gradino superiore ecco l’arcinoto “Un treno per Yuma” di D. Daves (tit. orig. “3.10 per Yuma” USA 1957 b/n). Si racconta del rischioso trasferimento in treno di un pericoloso bandito durante le vicende epiche del Far West. Indimenticabili protagonisti furono le famose star di Hollywood: Glenn Ford e Van Heflin. Nel 2007 ne è stato prodotto un remake. Perveniamo così al 12° posto imbattendoci in un’opera che considero un vero capolavoro e di certo, con il treno che la fa da protagonista. Mi riferisco a “A 30 secondi dalla fine” di A. Konchalovsky (tit. orig. “Runaway train” 1985 USA colore). Ambientato in una glaciale Alaska con 30° gradi sottozero, è la storia di un evaso che scappa su un locomotore in corsa verso l’ignoto. Purtroppo un attacco di cuore, uccide il macchinista ed il convoglio diventa ingovernabile. In tutto ciò il direttore del traffico insegue in elicottero il convoglio fantasma.

All’eccellente attore americano John Voigt il ruolo del fuggiasco circondato da ottimi ma non meno bravi coprotagonisti. Tra questi ovviamente un locomotore diesel della compagnia Alaska Rail Road che fu concesso a patto che il nome della Società non comparisse.

Non meno spettacolare è il film seguente, “1855 La grande rapina al treno” di F. Lyon  (tit. orig. “The great train robbery” USA 1978 colore). Di rilievo il cast che include, tra gli altri, Sean Connery e Donald Sutherland. E’ la storia dell’assalto al treno incaricato di trasportare l’oro destinato alle truppe impegnate in Crimea. Lo spettacolo offerto da antichi treni inglesi a vapore, tenuti in perfetto stato, è godibile. D’altro canto la trama è intrigante e si vede tutto d’un fiato.

 Atmosfera da metà ‘800 in questa animata stazione (dal film “1855 - La grande rapina al treno”).

Primo piano di un acrobatico assalto al vagone con l’oro (dal film “1855 - La grande rapina al treno”).

Approdiamo al 10° posto per trovare il classico “Assassinio sull’Orient Express” di Sidney Lumet (tit orig. “Murder on the Orient Express” USA 1974 colore), tratto dal romanzo omonimo di Agatha Cristie.

Stellare la lista degl’interpreti con Albert Finney nel ruolo dell’investigatore Poirot, e poi S. Connery, I. Bergman (premio Oscar come attrice non protagonista), R. Widmark, M. Balsam e tanti altri. Com’è facilmente intuibile, il famoso treno, bloccato per un’improvvisa tempesta di neve, diventa lo scenario di un delitto.

L’investigatore Poirot saprà ovviamente sbrogliare l’intricata matassa. Molto belle appaiono le scene ferroviarie girate nella stazione tutt’ora attiva della Gare de l’Est e nello scalo ferroviario di Landy (ambedue a Parigi) nonché quelle nella neve a Pontarlier (F) non lontano dal confine svizzero.

L’Orient Express in marcia. Secondo il copione siamo in Turchia ma in realtà siamo in Francia.

La locomotiva SNCF, restaurata di recente, è ancora in servizio storico.

(dal film “Assassinio sull’Orient Express”)

Un primo piano dell’Orient Express per ammirare lo splendido emblema della compagnia.

 (dal film “Assassinio sull’Orient Express”)

Epilogo della trama. Poirot riunisce i passeggeri nel lussuoso salone del treno

per svelare la trama del giallo ed indicare il colpevole (dal film “Assassinio sull’Orient Express”).

Il 9° posto è detenuto da un classico western “Butch Cassidy” G. Roy Hill (tit. orig. “Butch Cassidy and the Sundance Kid” USA 1969 colore), ispirato alla vita di uno dei più famosi banditi che depredarono treni e diligenze durante l’epopea del West. Il film fu interpretato da due beniamini dell’epoca: P. Newman e R. Redford circondati da bravissimi comprimari tra i quali la bella K. Ross. Il film passò altresì alla memoria per la colonna sonora di B. Bacharach con la sempre verde “Raindrops keep fallin’ on my head”. Diverse furono le scene di assalto al treno che gli valsero l’inserimento in questa classifica.

Stupenda visione del treno da rapinare (dal film “Butch Cassidy”).

 Furono girate, con alcuni accorgimenti scenici, sulla ferrovia a scartamento ridotto (cm. 92 ca.) Durango-Silvertone (Colorado). Ad esempio per la scena dell’esplosione del carro merci con la cassaforte, fu creato un simulacro in balsa affinché nessun danno fosse arrecato al cast durante le riprese. Per la scena invece dei cavalli degli sceriffi che saltano dal carro di un treno di scorta, fu costruito un simil-carro ma più alto. In questo modo gli equini poterono piombare fuori senza gl’impedimenti di una porta di dimensioni standard.

Un tipico convoglio da far west sventrato per assaltarne la cassaforte (dal film “Butch Cassidy”).

Si avvia a compiere i 90 anni, la pellicola dell’8° posizione. Parliamo infatti del film “Come vinsi la guerra” (tit. orig. “The General” USA 1927 b/n muto). Protagonista e regista, ne fu uno straordinario comico dell’era del muto: Buster Keaton. In un tripudio di locomotive e di incidenti, molti davvero accaduti, vi si narrano le vicende di un conducente di locomotive all’epoca della guerra di secessione. Schierato dal lato dei sudisti, aveva due amori: la fidanzata Annebelle e la locomotiva “il Generale”. Scartato all’arruolamento volontario, dimostrerà il suo eroismo nel suo ruolo di macchinista riuscendo a sventare un attacco proditorio degli odiati nordisti. Ciò gli varrà finalmente l’agognata divisa e la riconquista dell’amata (v. filmato nella sezione Cine Club di questo sito).

Del tutto di genere romantico è la pellicola posta al n. 7 della classifica: “Breve incontro” (tit. orig.”Brief encounter” GB 1945 b/n). Il regista inglese è un giovane David Lean, all’epoca poco conosciuto ma che avrebbe raggiunto una notorietà universale con i successivi e popolari: “Il ponte sul fiume Kwai” del 1957 (al n. 84), “Lawrence d’Arabia” del 1962 (al n. 91), “Dottor Zivago” del 1965 (al n. 63). Il titolo del settimo film racchiude in sintesi il semplice plot. Una felice signora borghese conosce in un contesto ferroviario un medico di cui si innamora.

Nella realtà il lavoro fu girato nella stazione di Conefort nella contea del Lancashire lungo la linea London-Glasgow (compagnia LMS). Protagonisti furono i giovanissimi Celia Johson e Trevor Howard.

Ancora oggi ben ricordato nel titolo talvolta anche utilizzato nelle parafrasi, è il film che occupa il gradino n. 6: “Mezzogiorno di fuoco” di F. Zinnemann  (tit. orig. “High noon” USA 1952 b/n) con un poderoso Gary Cooper ed una non meno indimenticata Grace Kelly, non ancora padrona di casa monegasca. Osannato dai critici di tutti i tempi per tante qualità, raccolse ben quattro premi Oscar tra cui miglior attore e migliore colonna sonora originale.

E’ la storia in un contesto da western classico, di uno sceriffo che l’ultimo giorno di servizio ed anche quello del suo matrimonio, dovrà vedersela con l’arrivo in città di un pericoloso malvivente con la sua banda. Evidenziando doti non comuni di eroismo, il tutore della legge, affronterà il pericolo da solo, non potendo contare sull’aiuto della popolazione codarda. Il treno c’entra di prepotenza essendo l’invadente mezzo con il quale arriva il delinquente assetato di vendetta. Le note ci dicono che il convoglio che funge da attore, apparteneva alla ferrovia della Sierra, piccola compagnia californiana, risalente al 1892. Ritirato dal servizio attivo nel 1932, fu presto rimesso in ordine di marcia con le relative carrozze. Ciò in risposta alle allettanti richieste, peraltro ben retribuite, provenienti dall’industria cinematografica di Hollywood negli anni ’40 e ’50.

Non meno gradito alla critica appare il film posto al n. 5 tratto da un romanzo di genere noir dello scrittore francese Emile Zola. Stiamo parlando de “L’angelo del male” di J. Renoir (tit. orig. “La bête humaine” F 1938 b/n).  Essenziale e drammatico è il soggetto. Il ferroviere Jacques Lantier (Jean Gabin), occupato nella conduzione di locomotive a vapore, è conteso tra l’alcool ed una relazione con una donna sposata. Convinto, ma solo all’apparenza, a sopprimere il marito dell’amante, finirà con l’uccidere la donna per poi suicidarsi. Il film è noto per le scene di ambientazione ferroviaria tra le quali quelle poste all’inizio con la veloce marcia della locomotiva (ripresa anche in soggettivo) tra Parigi e Le Havre. Vi si mostra altresì un rifornimento di acqua in corsa con il metodo del cucchiaio che attinge dalla trincea in mezzo ai binari.

Prima di presentare il prossimo film, l’autore del fascicolo dedica qualche rigo alla considerazione che Alfred Hitchcock amava i treni o perlomeno amava farne attori dei suoi film. Di mio aggiungerei che il bravo autore privilegiava tuttavia creare i suoi treni e le sue stazioni nel chiuso degli studios. Però la sua “mano” era talmente felice che anche in presenza di contesti scenografici poco convincenti, lo spettatore non può fare a meno di accettare con simpatia anche la palese imperfezione. E’ il caso de “La signora svanisce”  (tit. orig. “The lady vanishes” GB 1939 b/n) posto al n. 4. Qui non solo le scene ferroviarie sono per così dire teatrali ma anche l’immagine del piazzale della stazione (di vaga ispirazione svizzera) è sfacciatamente modellistica. Certo se pensiamo che il film è del 1938 con il fermodellismo agli albori, l’effetto ci sembra quasi miracoloso. Il film narra di un complotto spionistico internazionale sventato su un treno che attraversa i Balcani (Orient Express?) dall’eroina di turno.

Un’immagine non molto bella per verificare la tecnica modellistica della ripresa.

(dal film “La signora svanisce”)

Palesemente ricostruita negli Studios questa stazione di vaga ispirazione svizzera.

(dal film “La signora svanisce”)

Ci avviciniamo con la nostra esposizione alla classifica alta, in zona podio. “Ventesimo secolo” è la definizione del centenario che ci siamo lasciati alle spalle con le sue conquiste senza precedenti nel campo della scienza e della tecnica, purtroppo con due guerre mondiali più altri conflitti al dettaglio. Ma è anche il nome di un treno leggendario che serviva il collegamento New York-Chicago (1902-1967).

E’ su questo treno che si svolge la parte più interessante del film posto al terzo posto che ne condivide anche il nome  (tit. orig. “Twentieth Century” 1934 USA b/n). Il genere è quello della commedia sofisticata dove la recitazione degli attori gioca un ruolo primario (John Barrymore e Carole Lombard il regista Howard Hawks).

La trama riprende il vecchio ma inossidato incedere del Pigmalione (commedia di G. B. Shaw 1913). Questa volta è l’istrionico regista teatrale Oscar Jaffe che ne emula le gesta lanciando sulla ribalta internazionale la misconosciuta modella Mildread Plotke acquisendone quindi un clamoroso e reciproco successo. Ma presto l’attricetta diventata una star, preferirà mettersi in proprio inbebriata dalla presunzione. Questa scelta decreterà anche la rovinosa caduta artistica del suo mentore. In un incontro casuale sul celebre treno, il regista cercherà in tutti i modi di riconquistare l’affetto ma soprattutto l’intesa professionale con la sua creatura. Il film da un punto di vista ferroviario è tuttavia paradossale. Infatti pur parlando e titolando con il nome del convoglio così celebre, esso fu sostituito in sede di ripresa, dal non meno famoso ma non genuino: Union Pacific M10000. Curiosa la spiegazione.

Il regista lo ritenne più seducente per l’occhio dello spettatore. L’ipotetica medaglia d’argento del secondo posto, spetta al citato regista A. Hitchcok con il popolare  “Intrigo internazionale” (tit. orig.  “North by northwest” USA 1959 col.). Opera notissima in tutto il mondo, sovente riproposta dai canali televisivi, inventa con la genialità dell’autore un genere inedito: la spy story in rosa. Un intrigato complotto messo in piedi dalla CIA, coinvolge un inconsapevole e tranquillo agente di pubblicità: Thornhill (Cary Grant) in una storia torbida e di certo più grande di lui. Braccato dai cattivi e per motivi opposti, dal controspionaggio americano, si dovrà difendere dai nemici occulti intenzionati a farlo fuori. Molte sono le scene delle pellicola che sono diventate “di culto”.

Ricordo il tentativo, ovviamente vano, di avvelenare il protagonista con fertilizzanti irrorati da un aereo leggero oppure dove lo vicende lo portano sospeso nel vuoto del monte Rushmore. Il film inizia e finisce con scene ferroviarie. In particolare quella finale che, dopo l’arresto dei cattivi, sancirà una conclusione consolatoria con l’amore sbocciato in una confortevole cabina con la fanciulla ritenuta una spia e che invece si rivelerà un abile agente segreto reclutato dai “nostri”. E’ il momento di pronunziare la famosa frase che in ogni concorso della settima arte, sancisce l’attribuzione del primo premio (e che mi concilia con il suo autore): “the winner is…”.

Il film che guadagna la virtuale palma d’oro dei 100 film di treni più belli di tutti i tempi è: “Il treno” di J. Frankenheimmer (tit. originale “The train” USA-F-I 1964 b/n).  Anche quest’opera è notissima e trasmessa di tanto, in tanto sui canali televisivi. Si racconta con un registro epico ed eroico, le imprese dei ferrovieri francesi per impedire ad un treno carico dei più famosi quadri patrimonio della nazione, di essere trasferito in Germania, all’epilogo della II GM. I tedeschi, esasperati dal boicottaggio messo in atto dagli cheminots, affidano la conduzione del prezioso convoglio all’ispettore ferroviario Labiche (Burt Lancaster) che con la sua risolutezza e giocando un imbarazzante ruolo di apparente collaborazione, riuscirà a salvare il treno dalla cupidigia nazista.

Uno dei numerosi incidenti ripresi dal vivo che arricchiscono il film “Il treno”.

La bella pellicola fu realizzata in gran parte in Francia, proprio nei luoghi dove si svolge l’azione narrata. Una serie di circostanze che vado ad esporre, contribuì alla sua ottima riuscita. Erano gli anni in cui la SNCF stava velocemente trasformando la trazione termica in trazione elettrica offrendo dunque al sacrificio diverse macchine che furono davvero distrutte, per girare le scene e conferire un realismo avanzato. Anche la scena del bombardamento della stazione e del deposito di Vaires merita una nota. Si trattava di un impianto che all’epoca delle riprese era prossimo alla demolizione. Il regista John Frankeneimher lo prese in carico per sei settimane durante le quali furono posti 800 chili di tritolo. Le cariche furono esplose in un’unica soluzione e filmate da più cineprese (alcune a bordo di aerei).

Una volta rimosse le macerie e ricostruiti gl’impianti, quella zona ha assunto il nome di Gargenville nella parte occidentale di Parigi. La spettacolare pellicola che potrei definire un evergreen ricorda un suo ideale antesignano ossia il più vecchio “Operazione apflekern” di Renè Clement (tit. orig. “La battaille du rail” F 1946 b/n).

Nato come documentario agiografico, finì strada facendo per diventare un affresco sul sacrificio dei ferrovieri francesi durante la II GM. Il cast fu costituito da ferrovieri autentici e da attori non professionisti.

Pur avendo un carattere di saggio, con i dialoghi ridotti al minimo e l’assenza delle risorse finanziarie de “Il treno”, il veterano ancora oggi ha carattere di vero capolavoro. Il nostro opuscolo gli conferisce un onorevole 21° posto.

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