Testo di Gennaro Fiorentino

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Secondo i rapporti dell’epoca questo film, prodotto nel 2002 in Uruguay, arrivò nelle sale italiane alle porte dell’estate del 2004. Lascio immaginare quante persone lo abbiano visto, così distratte dall’atmosfera delle vacanze nonché poco attratte dal nome degli attori quasi sconosciuti in Italia. Un vero peccato perché la pellicola ha diversi meriti, e non solo, per l’appassionato di ferrovie. Devo dire che se non me lo avesse segnalato un amico di Torino, anche a me sarebbe purtroppo sfuggito.

Girato con un ottimo technicolor, la vicenda si apre sul consiglio direttivo del Club locale di appassionati della rotaia. È all’ordine del giorno un non ben specificato argomento e conseguente approvazione per votazione. In un’atmosfera da carboneria, la proposta viene accettata con una maggioranza risicata. Ciò scatena la febbre della preparazione all’evento degli eccitati ed arzilli vecchietti costituenti lo zoccolo duro del Club. La curiosità dello spettatore per immaginare cosa stia per succedere, tutt’altro che esplicito, sta per diventare incontenibile quando il complotto viene svelato. Un magnate locale si sta imbarcando in un interessante business: dopo aver “impupazzato” una vecchia locomotiva a vapore, la 33, l’ha venduta ad un cineasta hollywoodiano per consentirgli di girarci alcuni film. Per i non napoletani, spiego che il verbo dialettale impupazzare (da cui impupazzato) sta ad indicare l’intervento, di solito su un veicolo, con un maquillage di forte impatto ma di poco costo che dia l’impressione, ma solo questa, di un oggetto in ottimo stato. È intuibile la finalità: quella di pretendere dall’eventuale acquirente un corrispettivo maggiore dell’effettivo valore.

Tornando al film, i feramatori uruguaiani non possono digerire loperazione del magnate. Un pezzo di storia e di patrimonio nazionale sta per essere svenduto. È intollerabile! Decidono di intraprendere un’impresa pazzesca: rapirla e cercare di farla espatriare nella vicina (si fa per dire) nazione brasiliana dove la locomotiva dovrebbe cercare asilo politico ed essere sottratta alla partenza per gli USA. Nottetempo si introducono nel deposito e scappano con la 33.

È notte fonda quando, con un gran fracasso, la 33 sfonda la porta del deposito e parte per la sua fuga.

L’avventura ha avuto inizio e la locomotiva corre nella verde campagna sotto un cielo terso.

Inizia così la straordinaria corsa nella ricca vegetazione locale, attraverso linee abbandonate, binari fatiscenti ed approvvigionamenti idrici precari. Intanto il legittimo proprietario con un codazzo di poliziotti, si lancia all’inseguimento per poter rientrare in possesso del suo bene ed onorare il contratto con gli americani.

All’ultimo momento la barricata delle auto della polizia viene rimossa.

Non si può rischiare di danneggiare la prima donna.

L’equipaggio dei malfattori, se tale lo si può chiamare, è costituito da un professore cardiopatico, un anziano ferroviere in pensione, un terzo amico la cui memoria sfuma man mano che scorrono i chilometri, un bambino reclutato per dare una mano a spalare il carbone. Con l’avanzare nella lussureggiante campagna uruguaiana, cresce anche il consenso delle popolazioni poste ai lati di quelle rotaie dismesse che, perdendo la ferrovia, hanno perso anche la speranza di riscatto dalla miseria.

Il film, pur drammatico, scorre sull’onda di un sarcasmo liberatorio, lanciando continui ed espliciti segnali  per esorcizzare alcune afflizioni dell’umanità: le patologie della terza (e quarta) età, l’esigenza dell’uomo di crearsi un interesse anche da vecchi, lo svalutato amore per la conservazione delle cose antiche e così via. Non mancano sorrisi un po’ amari quando uno dei protagonisti si ferma ad una “posada” lungo la strada ferrata dove acquista assorbenti femminili in luogo di quelli specifici dimenticati a casa, indispensabili per le sue esigenze prostatiche. E che dire di un condotto di bordo riparato con un provvidenziale mastice per dentiere? Altresì ironico quando, pur nel momento di emozionante fuga, il professore opina circa il companatico di un sandwich comprato “a volo a volo” e da lui ritenuto incompatibile con la dieta ipo-colesterolica raccomandata ai non più giovani.

I tre improbabili ferrovieri discutono della strategia per sottrarsi agli inseguitori.

Il gioco si fa duro e non si sa come andrà a finire. Il piccolo fuochista per prudenza

viene fatto scendere mentre lo striscione sul tender pubblicizza il motto dell’operazione.

Man mano che la vaporiera avanza, sempre più incalzata dagli inseguitori, si fa più viva nello spettatore la curiosità della conclusione della vicenda. Finirà, com’è prevedibile, in una tragedia che vedrà i ladri di treni schiantarsi con l’oggetto dei loro desideri o perlomeno con un arresto? Ma l’autore del copione, al contrario delle previsioni, ha scelto un finale tutto sommato ottimistico e consolatorio. Dopo aver rilasciato sia il bimbo che il secondo ferroviere in preda ad un violento ed irreversibile attacco di demenza, si ritrovano gli ultimi due eroi (il macchinista ed il professore) ormai istradati dalla polizia su un binario morto che conduce contro un muro, per fermare la folle corsa. Ma anziché frenare, i “nostri” aprono tutto il vapore facendo prevedere un finale a metà strada tra quello di “Cassandra Crossing” e “Thelma e Louise”. Intanto un folto pubblico richiamato dai mass media, assiste impotente all’epilogo del dramma.

La popolazione di un piccolo villaggio esprime solidarietà

prestandosi a riempire il serbatoio d’acqua con  secchi e  mezzi di fortuna.

La 33 corre verso il suo ineluttabile destino. Siamo all’epilogo.

All’ultimo secondo, prevale la saggia ed imprevista decisione di arrestare la locomotiva e consegnarsi alla polizia senza ulteriore opposizione. Il business man può rientrare in possesso del suo treno, che tuttavia non potrà portare via a causa della dura opposizione dei presenti che si stenderanno sulle vecchie rotaie per impedirlo. Fine.

È saltata la recinzione del tronchino. Ma la locomotiva si è fermata:

è salva ma soprattutto lo sono i suoi  eroici conducenti.

Il testo finale insieme ai credits, ci comunica che il treno resterà in patria mentre gli arzilli vecchietti saranno puniti in maniera blanda per la loro eroica intemperanza.

Il film, coprodotto con Spagna ed Argentina, si aggiudicò il premio Goya nel 2003 grazie all’impeccabile regia di Diego Arsuaga ed al cast degli impareggiabili vecchietti, volti molto popolari in patria ma praticamente sconosciuti in Italia.

Non posso nascondere che l’avvincente vicenda narrata, pur consapevole della sua natura immaginaria, mi ha suscitato non poche perplessità. Ho pensato che non sarebbe mai stato possibile per un treno procedere senza un minimo di consenso da chi regola il traffico ferroviario. Così mi sono documentato sulle ormai consuete fonti informative. Ho così appreso che la nazione Uruguay, conta in teoria una rete di km 2900 a scartamento standard. Di questa entità circa la metà è chiusa al servizio viaggiatori di cui una piccola parte consente il traffico merci; solo 11 chilometri sono a doppio binario e neanche un centimetro elettrificato.

Pertanto appare plausibile pur nella finzione cine, che i nostri transfughi e la loro gagliarda locomotiva, abbiano trovato possibilità di transitare per centinaia di chilometri su binari dismessi.

Per quanto riguarda la star del lungometraggio, ossia la locomotiva, in verità in rete ho trovato poco. Essa sarebbe stata prodotta dalla nota industria tedesca “Orenstein & Koppel” nel 1912 con il numero di fabbrica 5433 da cui la matricola 33. Rodiggio 0-6-0T.

Attualmente è di proprietà della AUAR (Associazione Uruguaiana Amici della Ferrovia).

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