di Luigi Fiorentino

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E’ un giorno di Gennaio; il cielo è grigio, cupo, fa molto freddo ed una pioggerellina fitta ed insistente immalinconisce l’animo. Al ritorno da una deprimente e solitaria passeggiata, mi accoglie la cucina di casa: calda e protettiva come un grembo materno. Un buon brodo caldo mi dà il giusto tono per scrivere qualche rigo su di una strana ed interessante pellicola dal bel titolo “La vita è un miracolo” del regista serbo Emir Kusturica che è anche autore della sceneggiatura e delle musiche.

Si racconta del semplice e mite Luka, ingegnere ferroviario serbo che, insieme alla moglie Jadranka ed al figlio Milos, promettente giocatore di calcio, si sistema in una graziosa e colorata stazione di un paese montano. La sua missione è modernizzare, per scopi turistici, una vecchia linea ferroviaria di 19 chilometri tra la Serbia e la Bosnia.

Siamo però nel fatale 1992, anno di inizio delle guerre civili che porteranno alla frantumazione della nazione jugoslava (1949/1992) in tanti piccoli Stati autonomi.

Per il buono e mite Luka, uomo pacifico e tranquillo, scompariranno le amicizie, gli affetti, insomma le certezze; perché la guerra metterà i fratelli contro i fratelli. Le città, i paesi, le campagne, saranno sconvolti dal rombo del cannone e dal crepitio delle mitragliatrici con una scia di morte e distruzione.

L’amata ferrovia non trasporterà più turisti ma truppe, cannoni, feriti e vittime. La moglie scapperà con un suonatore ungherese ed il giovane figlio, chiamato alle armi, sarà presto catturato e fatto prigioniero dal nemico.

Questo è solo l’inizio del lungo film (165 min.), poetico, trasbordante, entusiasmante dove tragedia e commedia si alternano in maniera originale. Questi caratteri, accompagnati da musiche gitano-balcaniche, impreziositi dalla prestazione di attori bravissimi e da un bel finale consolatorio, ne fanno uno spettacolo forse fuori dagli schemi, ma unico e geniale.

Queste brevi note mi hanno ricordato che alcuni anni prima degli avvenimenti narrati nel film, mi recai con la famiglia in quella bella terra per visitare attrezzature turistiche e godere di alcuni giorni di vacanza. Nel lungo viaggio iniziato al Nord del paese, dalla città di Opatija  (Abbazia-Croazia) e poi lungo la riviera di Makarska, passando per Neum fino a Dubrovnik, ci accompagnò una bionda e gentile signora croata, corrispondente della nostra agenzia di viaggi.

Parlava benissimo italiano, amava e conosceva Napoli. Aveva una forte vocazione per la buona gastronomia e per gli alcoolici. A causa della sua disciplina teutonica nel gestire gli orari, i primi giorni di viaggio furono difficili. Ma poi con la signora si instaurò una bella amicizia e trascorremmo insieme dei giorni meravigliosi di lavoro e di vacanza.

Quando ci imbarcammo a Dubrovnik per fare ritorno in Italia, ci scambiammo un sincero e caloroso arrivederci, che non si realizzò mai. Altri avvenimenti sopraggiunsero. La terribile guerra scoppiata nella sua Patria ci fece perdere le tracce di lei e della sua stessa esistenza.

Ma “la vita è un miracolo”: un giorno forse potrebbe accadere di incontrarci nuovamente su una bella spiaggia della Croazia o magari in un’affollata strada di Napoli.   

 

di Gennaro Fiorentino

La ferrovia che fa da sfondo alle  vicende del film è un  segmento della storica e lunga linea a scartamento ridotto di cm. 76 che una volta univa Belgrado con Dubrovnik sul mar Adriatico. Il suo percorso, della lunghezza di ben 750 km, fu completato solo nel febbraio del 1928 dopo oltre venti anni di durissimi lavori occorsi soprattutto per superare la zona montuosa nonché le vicende politiche e belliche della prima guerra mondiale.

Durante il suo esercizio, che si rivelò di primaria importanza, la ferrovia subì un intenso sfruttamento sia per il trasporto merci che passeggeri. Purtroppo il suo scartamento, che definirei super-ridotto, ne evidenziò tutti i limiti con il passare degli anni. Pertanto anche in prospettiva dell’unificazione della larghezza dei binari agli standard europei, impossibilitati a trasformarla per le sue caratteristiche estreme di tornanti e curve, la linea venne abbandonata nel 1974.

Nel 1999 fu però presa la decisione di ristrutturare per fini turistici la sua parte più spettacolare ossia quella che include l’ “Otto di Sargan”, cosiddetto dall’escamotage utilizzato per scavalcare la montagna.

Nel 2004 il progetto si poteva dire concluso e cominciava l’esercizio turistico.

Questa premessa per poter introdurre il lettore all’atmosfera ferroviaria del film che, anche se opera di fantasia, è per lo più ambientato in un tratto di quella che oggi è ormai una ferrovia turistica.

La casa del nostro protagonista è la stazione di Golubci che nella realtà non esiste essendo stata creata “ad hoc” per esigenze cinematografiche, trovandosi la location non lontana dal monte Sargan nonché dal confine con la Bosnia.

La stazione di Golubci dove si svolge in gran parte la storia narrata ripresa

mentre Luka ed il figlio Milos si divertono con il pallone.

Durante gli ultimi giorni di pace nella stazione di Lipod Hlad (Sargan Vitasi) si svolge la festa che prelude all’imminente inaugurazione della linea immaginaria. Il Presidente vi perviene a mezzo di una vettura americana Packard a scartamento ordinario ed elettrificata: piccola licenza poetica in quanto la “nostra” era a scartamento ridotto. Per l’occasione viene calata sui binari una locomotiva a vapore.

La vettura presidenziale Packard Custom procede sul binario ….. elettrificato ed a scartamento europeo standard.

 

Il varo della locomotiva a vapore.

Intanto il nostro Luka per i suoi spostamenti utilizza una vecchia Peugeot su rotaia dotata altresì di un grossolano ma efficiente sistema per l’inversione di marcia. D’altro canto nel film è abbastanza frequente  l’impiego di un carrello a leva anche da parte del solerte postino della comunità.

Luka può essere felice in quanto la "sua" ferrovia piano piano sta prendendo vita. I suoi progetti proiettati verso il prossimo futuro trovano odierna concretezza nel plastico ferroviario in soffitta che anticipa il termine dell’opera e che risulta difficile ritenere strumento di lavoro. Piuttosto allo spettatore viene più facile omologarlo ad atmosfere eduardiane e presepiali con immagini di fatua tranquillità.

La straordinaria e vecchia Peugeot 404 su rotaia.

Il plastico della ferrovia in costruzione esibito ai notabili.

Arriva la guerra che riporterà il nostro protagonista alla dura realtà con la moglie che scappa con un violinista ed il figlio prigioniero. Intanto la linea viene percorsa da locomotori diesel con il loro carico di morte. Lo scoramento del nostro ingegnere per la guerra, i lutti, la perdita della moglie e del figlio, viene alleviato da un fatto nuovo. Gli viene affidata infatti una prigioniera (una bella ragazza bosniaca) di cui si innamorerà e che gli restituirà la fiducia in un futuro di rinascita.

Il ponte ferroviario sul torrente Kamisina fa da sfondo ad uno dei momenti di maggiore drammaticità. Il ritorno della moglie del capostazione farà dubitare alla giovane bosniaca il futuro della sua relazione di passione e cercherà nel suicidio la soluzione del problema.

 

Il locomotore diesel in testa ad un convoglio bellico.

Lo spettacolare ponte ferroviario sul torrente Kamisina.

Ma il novello amore trionferà e il ritorno del figlio di Luka, farà concludere la vicenda nel migliore dei modi. Sollecitato da un ricordo, ho trovato conferma in una breve ricerca. Il locomotore diesel in servizio sulla ferrovia turistica e protagonista del film è stato costruito dal colosso metallurgico rumeno FAUR Bega. Faur è altresì costruttore della macchina diesel in servizio sulla ferrovia dei pionieri (Gyermekvasùt) a Budapest con cui condivide oltre che l’aspetto (ma non la livrea)  anche il singolare scartamento di cm. 76.

Una foto da repertorio istituzionale della ferrovia dei pionieri tuttora in esercizio turistico stagionale

sulle colline di Budapest.

 

Tutte le immagini sono frames del film originale; l'immagine n. 8 è tratta da sito istituzionale.

 

Questo articolo è stato ispirato in maniera significativa dal documentario

dell’ing. Alceo Manino, apparso sul n. 308 del Bollettino FIMF. 

 

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