Rara immagine del tram in transito dinanzi al grandioso fabbricato dei Granili (Archivio Clamfer).

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Fino a qualche anno fa una lapide, collocata al termine del Ponte della Maddalena, ponte costruito per superare il corso del fiume Sebeto, ricordava che un tempo in quel luogo un’antica colonnina segnava l’inizio della strada Consolare delle Calabrie, proprio quella colonnina conservata al Museo di San Martino. Oggi purtroppo non esistono più né colonnina, né lapide e neppure parte dei binari del tram che, superato il Sebeto, percorrevano in sede propria un altro ponte, quello dei Granili, così denominato per il maestoso edificio borbonico ormai abbattuto.

Ma veniamo alla nostra storia. Sul principiare della suddetta strada, proprio di fronte ai citati Granili, furono eretti molto tempo addietro alcuni fabbricati nel cui complesso, denominato “Principe di Piemonte”, fu inglobata la vecchia chiesa di S. Erasmo. All’inizio degli anni ’50 del secolo passato, la situazione edilizia era rimasta pressoché immutata, pertanto quelli di S. Erasmo, pur abitando in città, godevano ancora di ampi spazi in cui i ragazzi s’ inventavano giochi più o meno innocenti come quello di mettere le botte sotto il tram. Per inciso è da dire che il mettere petardi sulle rotaie era un fatto lecito, sì ma da effettuarsi a cura dei casellanti per segnalare un pericolo sulla linea ferroviaria.

Ma cambiamo binario e torniamo ai tram.

In un primo tempo le microesplosioni erano provocate dalla pressione che la ruota del veicolo esercitava sulle lenticchie di polvere pirica incollate su una strisciolina di carta che veniva posta sulla rotaia. Queste bande di carta, vendute quali munizioni per pistole giocattolo in latta, erano volgarmente dette “ferdinandi”, ovvero fulminanti, i quali erano diversi dai “fit fit”, costituiti anch’essi da una strisciolina di carta sulla quale, però, erano deposte unghiette di fosforo che si accendevano per sfregamento.

Visto che il divertimento era assicurato, successivamente “i ragazzi di S. Erasmo” affinarono la loro tecnica confezionando in proprio i botti da sistemare sulle rotaie. Così l’innocuo “ferdinando” fu sostituito da vera polvere nera costituita da una miscela di zolfo, clorato di potassio e carbone. La materia prima non era difficile procurarsela; il carbone lo si trovava in casa, bastava prelevarlo da quei grandi focolai in muratura, oggi parzialmente tornati di moda, sul cui piano erano sistemati i fuochi formati da anelli concentrici in ghisa e ciò per adattare la fonte di calore alle dimensioni delle pentole; lo zolfo lo si acquistava in via Pica da un rivenditore di elementi chimici per l’agricoltura oppure in via Sanfelice dalla famosa ditta "Introno" la quale vendeva anche “veleno per le zoccole”, come pubblicizzava una vistosa insegna; infine il clorato di potassio in polvere lo si comprava in Farmacia simulando, a turno, forti ed improvvisi mal di gola con grande stupore del farmacista che spesso ebbe a dire: guagliù, ma chesta è n’ epidemia!

Ottenuta così la miscela, si era pronti per il debutto che, normalmente, avveniva durante i pomeriggi estivi. Dopo aver preparato dei mucchietti di polvere, questi venivano sistemati a breve distanza l’uno dall’altro su una delle rotaie della linea proveniente da Napoli e si sceglieva un nascondiglio di fortuna in attesa della vittima: il tram.

Chissà perché il malcapitato era quasi sempre il n. 34 che, come noto, nella smorfia corrisponde alla “capa tosta” (testa dura) o, in alternativa, il n. 56 diretto a San Giorgio a Cremano. La vetturetta, transitando sulle polveri, procurava quella serie di botti in sequenza nota come “tracchiata”.

Ritornando ai “fuochisti di S. Erasmo”, ricordo che essi scoprirono anche che, aggiungendo alla loro miscela particelle di altri elementi, le fiammate dei botti assumevano colorazioni diverse. Ma dai e dai, i manovratori, almeno una volta tutti vittime, avevano imparato la lezione e, giunti a S. Erasmo, prima di immettersi sul rettilineo dei Granili, fermavano la vettura, scendevano e, dopo aver  bonificato le rotaie liberandole con il piede dai botti, riprendevano la marcia. Intanto gli anni sessanta erano alle porte ed il boom economico e l’età portò i ragazzi di S. Erasmo ad interessarsi non più ai tram ma alle minigonne . . .

Oggi uno di quei minifuochisti, cui debbo le notizie narrate, è un Dirigente della pubblica Amministrazione. Or non è più quel tempo e quella età e botti ai tram non ne mette più. Ed io aggiungerei “con grande pace dei passeggeri”.

Cu 'na bona salute, e scusate d' 'e chiàcchiere ...