a cura di Antonio Gamboni

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Nel clima dei festeggiamenti per l'Unità d'Italia voglio proporre al Gentile Lettore un brano tratto da

"La fine di un Regno", un saggio pubblicato nel 1909 da Raffaele De Cesare, Senatore del Regno d'Italia.

Il lungo scritto, circa 1200 pagine, è una cronaca del Regno delle Due Sicilie dal 1848 al 1860.

Senza entrare nel merito di una ennesima liberazione del popolo napoletano, né il voler giudicare

Ufficiali e funzionari borbonici passati dall'altra parte e quindi per gli storici ritenuti eroi,

riporto l'episodio dell'arrivo in treno a Napoli del Dittatore Garibaldi.

Non lo sapevate? Garibaldi giunse a Napoli non cavalcando la candida "Marsala",

la sua prediletta cavalla, ma a bordo di un treno della Ferrovia del Bayard.

A quel tempo la linea, partita da Napoli, si fermava a Vietri; pertanto i pochi chilometri

che separavano questa cittadina da Salerno, furono percorsi in carrozza.

Riferisce il De Cesare che, sugli spalti del vicino Forte del Carmine,

cannoni borbonici erano puntati sulla stazione del Bayard pronti a far fuoco.

Non è dato sapere perché quell'ordine non fu mai dato;

certo è che non c'era più Ferdinando II; altrimenti ....

"Si partì da Salerno alle nove e mezzo. La guardia nazionale e le squadre insurrezionali del Salernitano volevano seguire Garibaldi, ma egli non volle. Di Lorenzo e Rendina precedevano con altro legno a tutta corsa, per far telegrafare dal capostazione di Cava che fosse sgomberata dai bavaresi la stazione di Nocera, ma questi n’erano partiti la notte innanzi, avendo saputo che Garibaldi era giunto a Cava, mentre a Cava non era giunto che un inglese, certo Peard, uno stravagante, il quale somigliava molto nel fisico al dittatore e faceva la campagna per conto proprio. A Cava chiesero del sindaco, che era il giovane marchese Atenolfi, ma questi, che aveva veduto Garibaldi la sera innanzi a Salerno, era partito per Napoli con la prima corsa, accompagnandovi il colonnello Ludovico Frapolli, mandato a prender possesso degli uffici telegrafici. L’Atenolfi, che fu poi deputato ed oggi è senatore, accompagnò il Frapolli da Liborio Romano, il quale rispose che non aveva alcun potere per consegnare al Frapolli il servizio telegrafico dello Stato; ma saputosi che Garibaldi arrivava a mezzogiorno, il Frapolli, accompagnato sempre dall’Atenolfi e in divisa di colonnello garibaldino, andò all’ufficio centrale dei telegrafi, che era a San Giacomo, e senza tanti complimenti, ne prese possesso in nome del dittatore.

Nelle prime ore di quella storica giornata, Emilio Visconti-Venosta, che era ancora a Napoli, incontrò in piazza San Ferdinando il Frapolli, prima camicia rossa che si vedesse per le vie di Napoli, alcune ore avanti che Garibaldi arrivasse. Egli conosceva il Frapolli, ch’era stato per poco tempo ministro della guerra a Modena col Farini. Il Frapolli, informando il Visconti della sua missione, gli annunziò che Garibaldi sarebbe arrivato fra poche ore, senza alcun ostacolo; e che anzi doveva essere partito da Salerno.

La stazione di Cava dei Tirreni al tempo della trazione a vapore.

La struttura principale è ancora quella della vecchia stazione del Bayard.

(coll. Gennaro Fiorentino)

Garibaldi giunse a Cava alle 11. Impossibile descrivere l’ultima tappa di quel viaggio. Garibaldi, D’Alessandria, De Sauget, Cosenz, Di Lorenzo, Civita, Bertani, Nullo, Missori, Rendina, Gusmaroli, Ferrante, il padre Pantaleo in abito francescano, con fascia tricolore, pistole e sciabola; Mario, Canzio, Stagnetti, gli ufficiali della guardia nazionale di Napoli, Luigi de Monte, Francesco Ferrara ed Eugenio Assanti, l’inglese Peard: ecco tutto l’esercito e il seguito del dittatore. Presero posto confusamente in due saloni e in altre carrozze, e si partì con treno speciale, anzi specialissimo, che procedeva lento fra due muraglie umane, dalle quali partivano grida di delirante commozione. A Cava seguì una scena curiosa. Tutte le donne, vecchie e giovani, vollero baciare Garibaldi sulle guance, e il generale lo permise.

Il piazzale binari della stazione di Pagani a inizio '900.

Il fabbricato viaggiatori è quello realizzato dal Bayard.

(coll. Antonio Gamboni)

La stazione di Nocera vista dall'esterno. Per la presenza del monumento ai caduti,

anche se l'immagine è databile dopo il 1918, il classico fabbricato ad archi

lascia supporre che si tratti di quello del Bayard.

(coll. Antonio Gamboni)

A Nocera quel capostazione fece passare l’ultimo treno di cacciatori bavaresi della retroguardia nei magazzini di deposito, per far passare il treno trionfale della rivoluzione.

Garibaldi, richiesto dove volesse alloggiare a Napoli, rispose: “io vado dove voglio; solo desidero, appena arrivato, di visitar San Gennaro”. Dopo Portici, il treno si fermò bruscamente. Tutti si affacciarono agli sportelli per vedere che cos’era, e videro un ufficiale di marina che s’avanzava, correndo e gridando: “Dov’è Garibaldi?” Garibaldi rispose: “Dev’essere il capitano del Calatafimi, lo facciano venire”. Appena giunto, il capitano, che non era quello del Calatafimi, ansante per la corsa fatta, disse al dittatore: “Lei dove va? È impossibile ch’entri in Napoli; vi sono i cannoni borbonici puntati contro la stazione”. E Garibaldi, tranquillo: “Ma che cannoni! Quando il popolo accoglie in questo modo, non vi son cannoni; avanti”.

Il capitano non osò dire di più, né si seppe chi ve l’avesse mandato, né chi fosse. Il diario del Persano, pur così esuberante di particolari insulsi, non ne fa motto. Dei superstiti nessuno sa dire altro. Quell’ufficiale intendeva forse parlare delle batterie del Carmine; ma l’incidente finì in una risata clamorosa. Presso alla stazione di Napoli, il De Sauget, vedendo molti operai ferroviarii, disse al Rendina: “È imprudente far discendere Garibaldi in mezzo a costoro, che son tutti soldati congedati e impiegati borbonici; appena il treno si fermerà, corri fuori la stazione e fa entrare il primo battaglione di guardia nazionale, che troverai, perche faccia cordone; io pregherò Garibaldi di attendere”.

Ma, fermato appena il treno, Garibaldi disse: “Scendo un momento per soddisfare un piccolo bisogno”; e mentre Rendina saltava giù da uno sportello, per eseguire l’ordine del De Sauget, Garibaldi scese dallo sportello opposto; e celatesi per un momento, ricomparve in mezzo a tutti, calmo e bonario.

Don Liborio era alla stazione coi direttori De Cesare e Giacchi, e nessun ministro.

 

Pianta di Napoli del 1862 (particolare) nella quale appare cerchiata

in rosso la stazione del Bayard ed in verde quel lato del Forte del Carmine

dal quale essa era ben visibile (Archivio Storico del Comune di Napoli).

 

La stazione di Napoli in un quadro attribuito a Salvatore Fergola.

Sull'estrema destra sono ben visibili gli spalti di Forte del Carmine

sui quali svetta la bandiera borbonica.

(per gentile concessione di www.trenidicarta.it)

Era il tocco e mezzo dopo mezzogiorno. Domenico Ferrante li presentò a Garibaldi; e il Romano recitò i primi periodi di un indirizzo, che poi fu stampato e diffuso. Garibaldi strinse la mano a lui e ai direttori; avrebbe voluto avere con sé don Liborio nella carrozza, ma li separò la folla, che nessuno riusciva più a contenere. Il sindaco D’Alessandria disparve; e la guardia nazionale era stretta in mezzo da una moltitudine invasata.

Già fin dalle 10 della mattina si raccoglievano nelle vie, che da Toledo e da Chiaia vanno alla stazione, gruppi di popolani con bandiere d’ogni grandezza, armi e bastoni enormi. Si assisteva a scene esilaranti e un pò grottesche. Il conte Giuseppe Ricciardi, in piedi dentro una carrozza, agitando una bandiera tricolore, urlava per Toledo: “A mezzogiorno il dittatore; tutti alla stazione”. Aveva perso la voce; quando, scorto il più giovane dei fratelli Cottrau, Arturo, in uniforme di guardia nazionale, gl’impose di salire in carrozza con lui, gli affidò la bandiera, e dai robusti polmoni di Arturo Cottrau fece continuare a gridare: “A mezzogiorno arriva il dittatore; tutti alla stazione”. La nota popolana, detta la “Sangiovannara”, andava anche lei in carrozza alla ferrovia, seguita da gran folla di gente della Pignasecca e di donne armate e convulse: tutte scene, che ricordavano i momenti più folli della rivoluzione francese ...."

 

 

di G. Fiorentino

Nel 1987 Rai 2 produsse uno sceneggiato in 4 puntate di 360 minuti dedicato all’eroe dei due mondi. La miniserie riscosse un buon successo non solo in Italia, ma anche in diversi paesi sia europei che sud americani, dove è ancora vivo il ricordo dello storico personaggio. Il filmato venne diretto e sceneggiato da Luigi Magni (Roma 1928), un buon artista che nella nutrita filmografia si era distinto, tra l’altro, per la sua particolare inclinazione per la storia risorgimentale, con predilezione per le vicende ambientate a Roma; mentre le musiche della colonna sonora furono scritte da Nicola Piovani.

Non sono pochi i film di Magni che si ricordano con piacere per aver regalato momenti di divertimento, coniugato con un’esplorazione rigorosa delle vicende storiche che condussero all’elezione di Roma capitale d’Italia ed alla perdita del potere temporale del Papa. Ne citiamo qualcuno: “In nome del Papa Re”, “Nell’anno del Signore”, “In nome del popolo sovrano”. Questa sua, per così dire, specializzazione gli valse la reputazione di anticlericale. Il regista però ci tenne sempre a puntualizzare che il suo apparente anticlericalismo, era in realtà un’ostilità personale per la figura del Papa Re e del suo potere temporale.

Per ritornare al film che c’interessa, esso narra la storia del Generale per antonomasia Giuseppe Garibaldi, ed in particolare delle vicende che lo condussero a compiere l’opera per la quale passò alla Storia, ossia “La spedizione dei mille”. Il film fu girato con un cast di tutto rispetto partendo dal produttore esecutivo Franco Cristaldi per finire ad un esercito, la definizione mi sembra doppiamente pertinente, di comparse.

Il ruolo principale fu affidato a Franco Nero (San Prospero di Parma 1941), la cui somiglianza sommaria con il personaggio rappresentato, era ampiamente compensata da una indiscussa capacità recitativa. Altri attori ricoprivano ruoli non di fantasia, ma di personaggi storici studiati sui libri di scuola e che qui, magia della televisione, assumevano sembianze umane. Così si aveva la possibilità di conoscere Anita (Laura Morante), il generale Cialdini (Philippe Leroy), Giuseppe Mazzini (Flavio Bucci), Vittorio Emanuele II (Jacques Perrin), Francesco II di Borbone (Massimo Abate) e tanti altri.

La miniserie fu improntata ad un impegno finanziario ragguardevole che intendeva, per quanto possibile, ambientare la vicenda nei luoghi dove storicamente si svolse. Per talune “location”, la cosa risultò abbastanza semplice come Palazzo Carignano di Torino (sede del Primo Parlamento Italiano) nonché la Reggia di Caserta. Un poco più complicato apparve ricreare le scene di battaglia nonché il famoso ingresso del Generale a Napoli, dove nella realtà pervenne in treno. La stazione che lo accolse nel 1860, era ancora quella “mitica” della Napoli Portici del 1839, al Corso Garibaldi, dove si attestavano anche le altre linee costruite nel frattempo (solo qualche tempo dopo si sarebbe posto mano alla costruzione della nuova Stazione Centrale). Al tempo del film, la stazione della Napoli-Portici già versava in uno stato totale di abbandono pertanto, per descrivere l’arrivo del treno del Generale a Napoli, si preferì farlo in Jugoslavia dove la troupe si era trasferita per girare molte scene di battaglia, assumendo anche un discreto numero di persone sul posto, sia come attori che come stuntman o per altri incarichi tecnici.

Qui, oltre alle battaglie, si cercò di riprodurre per quanto possibile l’arrivo del Generale a Napoli; questa per altro, secondo la sceneggiatura, è una delle prime scene del film. Tutta la vita di Garibaldi, infatti, si svolge sulla cadenza del flash back, tanto caro a molti sceneggiatori.

Il convoglio ferroviario fu scelto tra il materiale storico delle ferrovie jugoslave, all’epoca ancora in regime di confederazione. L’età apparente della locomotiva sembra abbastanza compatibile con l’anno in cui si svolsero i fatti ossia 1860. All’occhio dell’esperto tuttavia non sfugge un certo stile della macchina, caratteristico delle ferrovie austro-prussiane. Appare invece meno accettabile l'ambientazione della stazione di Napoli, ricreata presso un impianto delle citate ferrovie. Pur volendo glissare sullo stile architettonico così poco nostrano, riesce invece difficile non ricordare che quella di Napoli è sempre stata una stazione terminale, mentre quella dello sceneggiato è una stazione di transito.

La fiction, come si definirebbe oggi, che certamente ha uno stile agiografico, si conclude con la ritirata dell’eroe a Caprera, in compagnia della delusione per non aver potuto completare il sogno unitario. Fu vera gloria?

A 130 anni circa dalla sua morte, il quesito non ha avuto ancora una risposta univoca e ricorre periodicamente nelle discussioni accademiche o in quelle della televisione colta.

Di seguito, alcuni fotogrammi tratti dalla fiction di RAI 2.

 

Il treno della Rivoluzione con a bordo Garibaldi ed il suo Stato Maggiore

avanza verso Napoli. In realtà la linea, fin dall'origine, fu realizzata a doppio binario

e non a singolo come mostra il fotogramma.

Folla plaudente sotto la pensilina della stazione di Napoli che,

in realtà, non era di transito ma di testa.

Esterno della stazione di Napoli.

Si notino le finestre affiancate dallo stile poco italiano.

 
 

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