di Antonio Gamboni e Paolo Neri

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"Giovedì andiamo a Roma!" Queste parole possono venire oggi pronunciate da chiunque con tutta tranquillità, senza pensare che non è stato sempre così.

La necessità di spostarsi da una parte all'altra della penisola risale a tempi remoti: "molta gente - diceva Seneca - fa lunghi viaggi per vedere cose lontane". Orazio così descrisse l'inizio del suo viaggio da Roma a Brindisi: "partito, dalla grande Roma ... mi accolse Ariccia in un mediocre albergo e quindi Foro d'Appio, gremito di barcaioli e di osti senza coscienza. Questo primo tratto del viaggio, che passeggeri frettolosi forniscono in una sola tappa, noi ripartimmo in due; che la via Appia è meno incresciosa per chi va adagio". Giunti a Capua, allora si lasciava l'Appia e si percorreva la diramazione per Napoli. L'itinerario, che richiedeva circa tre giorni di viaggio, si effettuava a cavallo, in carrozza o con la diligenza pubblica e restò immutato per tutto il Medio Evo fino al secolo XIX quando, con la comparsa del vapore, si creò una alternativa ed una vera rivoluzione nel modo di viaggiare.

La scafa era una tipica imbarcazione da traghetto che assicurò fino ai primi decenni dell’800

la continuità di viaggio ai passeggeri della Roma - Capua attraverso il fiume Garigliano.

Le vicende politiche che portarono l'Italia al frazionamento in vari Stati fecero sì che venisse a mancare la volontà e la necessità di costruire o mantenere strade che valicassero i confini. Anche le prime realizzazioni ferroviarie rimasero fatti locali: ricordiamo la Napoli -Nocera (1839) nel Regno delle Due Sicilie, la Milano - Monza (1840) nel Lombardo - Veneto, la Firenze - Livorno (1848) nel Granducato di Toscana.

La costruzione di una ferrovia è sempre impresa di notevole difficoltà per gli ostacoli tecnici da superare e per quelli scaturenti da problemi di natura legale che inevitabilmente sorgono. Vedremo nel corso della trattazione che segue come tutti questi problemi furono affrontati e risolti nel corso degli anni seguenti.

Quando sorse la necessità di collegare Roma a Napoli con una strada ferrata, apparve conveniente sfruttare le preesistenti Napoli-Caserta-Capua (realizzata dal Governo Borbonico nel 1843) e la Roma-Frascati (1856). Si costruirono così i tronchi Capua-Presenzano (1861) verso nord e Frascati-Ceprano (1862) verso sud; l'intera linea, lunga e contorta, attraversava una zona abbastanza popolata e fu completata nel 1863. La gestione fu assunta, in base alla legge 2279 del 1865, dalla Società per le Strade Ferrate Romane che con le consorelle Società per le Ferrovie dell'Alta Italia, Società per le Ferrovie Meridionali e la Società Vittorio Emanuele si erano suddivise l'esercizio della rete ferroviaria della nuova Italia.

La Strada Ferrata Napoli-Roma in una cartina di paolo Neri.

    

Copertina della Guida-Orario delle Strade Ferrate Romane e la pagina relativa alla Napoli-Roma.

Il Misto, in partenza da Napoli alle ore 6,30 del mattino, arrivava a Roma alle 6,30 della sera!

Il traffico si mantenne regolare fino all'episodio della presa di Roma: fra il 12 e il 16 settembre del 1870 il Governo Pontificio, a seguito della disfatta francese di Sédàn, ordinò l'interruzione di tutte le strade ferrate convergenti su Roma, compresa quella proveniente da Napoli. Il 22 dello stesso mese, due giorni dopo la breccia di Porta Pia, il servizio fu ripristinato ad opera del Genio militare del Regio Esercito.

Prima del 1870, alla Stazione di Ceprano avveniva il controllo dei passaporti

in quanto confine di Stato tra il novello Regno d'Italia e lo Stato Pontificio.

Da un orario del 1866-67 apprendiamo che il servizio tra le due città veniva svolto da un solo tipo di treno: il misto che partiva da Napoli alle 6,30 del mattino ed arrivava a Roma alle 6,30 della sera, dopo ben 12 ore di viaggio. Poi, con il progresso, le cose migliorarono; infatti comparvero nuovi tipi di treni, l'omnibus e il diretto, i quali presentavano composizione e tempi di percorrenza diversi; solo l'omnibus aveva la terza classe.

Il viaggiatore che fosse salito a Napoli sull'omnibus delle 9,33 del mattino, sapeva di dover portare al seguito il paniere con le provviste in quanto l'arrivo a Roma era previsto per le ore 8,25 della sera, vale a dire dopo "solo"  11 ore di viaggio. Con questi nuovi treni, lo stesso viaggiatore avrebbe potuto risparmiare di portare al seguito la colazione del mattino partendo con il diretto delle 1,50 pomeridiane in arrivo a Roma alle ore 9,15 della sera. Il risparmio della colazione non era però compensato dal maggior costo del biglietto sul diretto (circa cinque lire di differenza in 1a classe e circa quattro in 2a); sicché era forse conveniente prendere posto con il De Amicis in uno scompartimento dell'omnibus insieme a:

"un'ordinanza, un prete, una servetta,
un inglese, una balia e due marmocchi.
Ho il prete enorme e rosso innanzi agli occhi,
ho tra le gambe un cesto e una cassetta,
sento un'elsa di qua, di la una tetta,
e un piede dell'inglese sui ginocchi.
La grossa balia in faccia mi starnuta,
strillano i bimbi, l'ordinanza fuma,
la serva tosse e il reverendo sputa,
e non so chi d'arcane aure leggere
tacitamente il carcere profuma...
E tutto questo è un treno di piacere''.

Nel 1883 i 260 chilometri che separavano Roma da Napoli potevano essere percorsi in appena sei ore da un nuovo tipo di treno: il celere; ma chi amava intrattenersi e dividere la propria colazione con la servetta poteva viaggiare sempre con il "misto", non doveva però lagnarsi "per le manovre che si eseguiranno nelle stazioni" essendo questo treno a composizione passeggeri e merci.L'avvenuta unificazione nazionale, senza dubbio, aveva facilitato gli spostamenti per la penisola: ormai, molto più che al tempo di Seneca, la gente faceva "lunghi viaggi per vedere cose lontane". Sensibile a questa nuova moda, la Direzione delle Strade Ferrate Romane, di concerto con la Società concessionaria della Ferrovia Funicolare del Vesuvio, attivò la vendita dei biglietti speciali di andata e ritorno da Roma a Napoli e al Vesuvio, validi per tre giorni e del costo di lire 73 per la prima classe e lire 61 per la seconda, prezzi questi con diritto al vitto ed all'alloggio presso "l'albergo di Russia, durante i tre giorni di permanenza a Napoli, ed all'omnibus da e per la stazione di Napoli, come minutamente risulta [va] dal coupon unito al biglietto".

Il 1885, con la legge del 27 aprile, vide una nuova suddivisione delle ferrovie italiane in tre grandi reti: la Mediterranea, l'Adriatica e la Sicula. La Napoli - Roma (via Cancello) venne affidata alla Rete Mediterranea, mentre il tronco Napoli - Caserta (via Aversa), di recente costruzione, venne gestito dalla rete Adriatica. Di pari passo cresceva il comfort di viaggio: il periodico "L'Emporeo Puteolano" del 24 ottobre 1885 diede notizia di un nuovo particolare servizio introdotto sulla Roma - Napoli: "per effetto di convenzione interceduta fra la Compagnia dei Wagon-lits e le Ferrovie del Mediterraneo, dal primo novembre in avanti i due treni notturni fra Roma e Napoli, quello che parte da Roma alle 10,45 e quello che parte da Napoli alle 9,30 avranno un servizio di sleeping-cars, il quale sostituirà molto opportunamente gli incomodi e scarsi coupés lits finora in uso su quella linea".

La stazione Centrale di Napoli in una cartolina d'epoca.

La statua di Garibaldi ancora non era stata eretta e negli antistanti giardini

vi era la fontana della Sirena, oggi in piazza Sannazaro.

 

La facciata principale della stazione di Roma quale si presentava dopo l'unità d'Italia.

Da circa 15 anni era in funzione il nuovo complesso di Napoli - Piazza Garibaldi, mentre a Roma faceva riscontro quello di Roma - Termini. Una guida turistica dell'epoca riteneva di dover mettere in guardia il viaggiatore dai rischi cui andava incontro scendendo a Napoli dal treno. Cosi si leggeva sulle sue pagine: "Il forastiero, allorché esce dalla stazione, è assalito da una quantità di commissionari di albergo, vetturini e facchini, i quali gesticolando e gridando creano la maggior confusione possibile"; continuava: "una viva raccomandazione che facciamo e di guardarsi dai faccendieri che in tutta la città abbondano" e concludeva: "un'altra raccomandazione che facciamo è quella di fare attenzione ai propri effetti, perché colla massima facilità e perfino nelle carrozze che vanno di corsa, vengono tolti", sicché il pensiero torna agli "osti senza coscienza" di diciotto secoli prima!

La descrizione relativa al materiale circolante sulla Roma-Napoli dell'epoca poco si discosta da quanto già trattato in altre pagine della Rivista.

La necessità di ammodernamento della linea si era presentata già all'indomani della proclamazione di Roma Capitale ed i primi studi erano iniziati nel 1871 con un progetto di Alfredo Cottrau. Provvedimenti legislativi del 1882 e del 1888 sancirono ufficialmente l'istituzione della nuova linea.

Due erano le soluzioni prospettate: rettificare e raddoppiare la vecchia linea, come già proposto dal Cottrau, oppure costruire un nuovo tracciato lungo la litoranea. Non si riuscì a trovare un accordo in sede di Commissioni Ministeriali. Siamo alle soglie del nuovo secolo: sulla scorta di un progetto eseguito nel 1902 che prevedeva un tracciato con pendenze massime del 15 per mille, raggio minimo delle curve 900 metri, esclusione di passaggi a livello, armamento atto a velocità non inferiori a 100 chilometri l'ora, il 15 febbraio 1905 l'allora Ufficio Studi delle Ferrovie Complementari stese un nuovo progetto che, in seguito notevolmente modificato, portò alla scelta di una definitiva soluzione. Il 1° luglio 1905 il Governo avocò a sé l'intera gestione della rete nazionale sotto la denominazione di Ferrovie dello Stato e, nel 1908, avuta l'approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ebbe inizio l'ammodernamento.

Si utilizzarono, anche questa volta, le già esistenti Roma-Velletri-Terracina e la Sparanise-Gaeta. della prima fu sfruttato il tratto da Velletri al fiume Amaseno, nei pressi di Piperno; della seconda il tratto da Formia a Sparanise, dove ci si allacciava alla già esistente Roma-Napoli via Cassino.

Il periodico "L'Ingegneria Ferroviaria" del 16 febbraio 1908 cosi descriveva i lavori del nuovo tronco: "Riguarda la costruzione della tratta ferroviaria tra le progressive 14,194 e 42,363 (stazione di Formia) che, in prosecuzione di quello già in corso di esecuzione, completa il tronco del fiume Amaseno a Formia congiungente le due linee Velletri-Terracina e Sparanise-Gaeta.

Il tracciato adottato è, in massima, quello staso redatto dall'Ufficio Studi delle Ferrovie Complementari, con poche varianti: la principale di esse e la riduzione della pendenza massima al 10 per mille in sostituzione del 15. Il tracciato si distacca dal termine del tratto in costruzione e, dopo aver girato il colle dell'Andresone, attraversa all'origine il così detto pantano di S. Biagio e si dispone per oltre un chilometro parallelamente alla via Appia. Di poi la linea piega leggermene verso il mare e attraversati i fossi di S. Vito, S. Magno e S. Bonifacio, si dirige al colle Monticchio; quindi, con ampie curve si adagia sulle falde del monte Calvo e, attraversatane con breve galleria la punta più sporgente, entra in galleria di m. 7.480 sotto i monti Grande e Vivola per riuscire all’aperto presso l'abitato di Itri. Poscia la linea segue le falde dei colli Costamezza e Ambaro e dopo aver sorpassati quelli di Castellani e Rialto giunge alla stazione di Formia, ove s'innesta alla ferrovia Sparanise-Gaeta".

Siamo nel 1913 ed il collegamento Napoli-Roma viene svolto con treni direttissimi al traino di locomotive a vapore in doppia trazione. Il percorso è ancora quello della vecchia Napoli-Roma via Cassino.

La tavola a colori, disegnata da Beltrame per la copertina della Domenica del corriere del 7 settembre 1913, portò a conoscenza dei lettori il disastroso incidente (coll. D. Gaudino).

Il rombo del cannone della prima Guerra Mondiale interruppe i lavori successivi che prevedevano nuovi tronchi per la rettifica delle curve e l'eliminazione dei passaggi a livello. Con il termine delle ostilità e, successivamente, con l'avvento del potere del fascismo venne dato un impulso decisivo ai lavori che furono terminati ed ampiamente propagandati nel 1927: era nata la "direttissima" Roma-Napoli.

Le modifiche sostanziali del tracciato consistettero nell'abbandono definitivo del tratto Roma-Velletri-Priverno e la costruzione di una linea rettificata Roma-Campoleone-Littoria-Priverno che attraversava le zone dell'Agro Pontino in corso di bonifica. Nel tratto a sud, da Minturno, il nuovo tracciato attraversava la piana bonificata del Volturno e, a Villa Literno, si biforcava per raggiungere Napoli sia attraverso la via di Aversa che quella di Pozzuoli. Per la verità, un tracciato rettificato attraverso le paludi che si estendevano quasi ininterrottamente tra Napoli e Roma non era un progetto nuovo. Esso era stato proposto nel lontano 1847 dal tenente Waghorn e dall'ingegnere Austin i quali erano venuti in Italia per studiare la possibilità di attuare il progetto di una ferrovia interstatale che avrebbe dovuto collegare Brindisi, via Napoli-Roma-Livorno-Genova-Lago Maggiore, con il confine del Lukmanier per accorciare il tragitto in suolo europeo della famosa Valigia delle Indie.

La stazione di Formia come si presentava nei primi anni di esercizio.

Merita ancora ricordare che il tratto Napoli-Villa Literno, via Pozzuoli, fu utilizzato anche come percorso suburbano dotando la città di Napoli, prima in Italia, di una ferrovia metropolitana e di una stazione scavata in trincea inserita nello stesso fabbricato viaggiatori di piazza Garibaldi. Questo tratto suburbano era elettrificato con alimentazione in corrente continua a terza rotaia a 650 volt. La realizzazione della "direttissima" nasceva da un progetto di assoluta avanguardia che sfruttava tutte le conoscenze tecniche del tempo. La linea era, infatti, dotata dei primi segnali permanentemente luminosi e di blocco automatico.

        

Libretto Itinerario del 1921 (Linea Roma-Napoli via Cassino) e

edizione del 1927 relativo alla nuova linea direttissima.

Per la trazione dei convogli diretti erano impiegate locomotive del tipo 680 al traino di vetture "centoporte" che conservarono, fino al 1936, l'originale schema di coloritura in verde. Nel frattempo veniva condotto sulla Benevento-Foggia un esperimento di elettrificazione con sistema a 3.000 volt in corrente continua. Visto l'esito positivo, detto sistema fu adottato sulla Roma-Napoli che vide impiegati i nuovi locomotori E 626 al traino di treni direttissimi. A titolo di cronaca riferiamo che, quando fu elettrificata l'intera linea, il convoglio inaugurale fu trainato da due locomotori E 428, 1a serie.

Sia l'armamento che l'andamento del tracciato rendevano possibile la circolazione di merci pesanti che sulla vecchia Napoli-Roma via Cassino abbisognavano della doppia trazione.

La stazione di Aversa sulla variante della Direttissima Roma-Napoli (coll. V. Simonetti).

Il viaggiatore, anche se di terza classe, non aveva più necessità di portare al seguito il paniere con le provviste perché il viaggio, ormai, non durava più dell'intervallo tra un pasto e l'altro. Era possibile raggiungere Roma da Napoli in appena due ore e quaranta minuti. In seconda classe il viaggio costava 38 lire, erano i tempi in cui si cantava"... se potessi avere mille lire al mese..." e l'intera "direttissima" era costata 650 milioni di lire.

Ancora una volta il rombo del cannone doveva interrompere l'evoluzione tecnica della Napoli-Roma. Estremamente pesanti furono i danni arrecati alla linea, come a tante altre, dagli eventi bellici e notevole ed imponente l'opera di ricostruzione degli impianti fissi e del parco rotabile ferroviario, al punto che, all'atto pratico, si può ben dire che negli anni '50 avvenne un totale rinnovamento della "direttissima" Roma-Napoli.

Ma questa è storia recente, già ampiamente trattata in altre sedi e quindi fuori del tema propostoci con queste note.

(testo tratto da ClamFerrovia, Anno VI, n. 26, ottobre 1985)

Le immagini che corredano l'articolo appartengono alla coll. A. Gamboni

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