di Antonio Gamboni e Paolo Neri

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La "Napoli-Portici", inaugurata il 3 ottobre 1839, indicata come prima ferrovia d'Italia, è una sineddoche in quanto identifica in realtà il primo tronco aperto al pubblico con la ben più lunga "Strada Ferrata Napoli-Nocera con una diramazione per a Castellammare".

Il promotore dell'iniziativa fu l'ingegnere francese Armando Giuseppe Bayard de La Vingtrie che operò per conto di una Società composta da lui, i suoi due fratelli Ferdinando Giovanni e Carlo e da Fortunato de Vergés.

Le notizie che seguono riguardano il capolinea di questa ferrovia, fabbricato che fu la prima stazione di Napoli e, quindi, d'Italia. 

La zona per la partenza della linea da Napoli era compresa tra la Porta del Carmine e la Porta Nolana lungo la via detta dei fossi, fuori le mura aragonesi che ancora esistevano tra le due Porte. Il terreno occupato era in gran parte paludoso ed apparteneva a diversi proprietari e costò alla Società ben 6.074 ducati e 44 grana, dei quali 1.740,19 spettarono al solo Sig. D. Raffaele Schisano.

Non a caso era stata scelta questa dislocazione che avrebbe permesso di erigere la stazione molto vicino alla piazza del Mercato, luogo di stazionamento di tutte le diligenze che conducevano alle province del Sud in modo da non variare le abitudini dei cittadini che erano soliti servirsi di quei mezzi.

Alquanto lontana dal centro della città, essa era raggiungibile da due omnibus a cavallo che, partendo dal largo del Castello, percorrevano la strada di Piliero e via Marina e giungevano alla via dei fossi. Il costo del biglietto era di 5 grana. Erano questi gli unici mezzi autorizzati alla sosta dinanzi ai cancelli della stazione.

Nella trattazione relativa alla sua descrizione seguiremo cronologicamente gli sviluppi costruttivi riferendoci di volta in volta ai pochi documenti iconografici giunti fino a noi, oltre che a rilievi eseguiti di persona sul posto esistendone tutt’oggi tracce ben riconoscibili ma in precarie condizioni. Il più antico documento consultabile è una planimetria eseguita dal prof. Stefano Mililotti nella quale lo spazio a disposizione appare suddiviso in tre zone.

 

Planimetria tratta dall'appendice di S. Mililotti al volume "Sulle Strade di ferro", lezioni date dal prof. M. Minard nel 1840.

 

 

La parte anteriore era costituita da un ampio piazzale lasciato sgombero per i successivi previsti ampliamenti del complesso. Sottoposto petto al piazzale anzidetto era il piano di posa dei binari: li avveniva l’inversione del senso di marcia delle locomotive per mezzo di due piattaforme girevoli. Due rampe in lieve pendenza fiancheggiavano tutta la zona descritta e mettevano in comunicazione il piano stradale con la parte occupata dai binari.

 

 

Il primitivo prospetto della stazione di Napoli.

Esso costituisce il primo corpo di fabbrica dinanzi al quale sarà aggiunto

il fabbricato per gli uffici della Società con le biglietterie per le varie classi.

(incisione tratta da "Annali Civili del Regno delle Due Sicilie" - 1839)

 

Il fabbricato viaggiatori, costituente il centro del complesso, era composto da due corpi ad un sol piano recanti nel prospetto anteriore ciascuno tre caratteristici ingressi ad arco che immettevano nelle sale d’aspetto per i viaggiatori delle varie classi. Essi erano uniti da un’ampia tettoia in muratura a tre luci sovrastante i binari e sorretta da due filari di colonnine in ghisa. L’impiego in un’unica costruzione della muratura e del metallo costituiva per l’epoca un‘interessante soluzione tecnica, resa possibile per l’esistenza in zona della fonderia di Zino ed Henry. Il movimento della stazione era regolato da un orologio posto al di sopra della tettoia. Alle spalle del fabbricato viaggiatori alle tre arcate sovrastanti i binari si affiancavano, simmetricamente, altre due arcate che consentivano il caricamento dei viaggiatori al coperto. La lunghezza complessiva delle tettoie risultava di 50 metri ed era quindi sufficiente per ricevere un intero convoglio formato da locomotiva con tender e sette carrozze, composizione media circolante.

Risulta poco coerente in un’ottica moderna come tanto si badasse a ben accogliere il viaggiatore in sale d’aspetto, permettergli l’accesso al treno attraverso un itinerario coperto per poi farlo viaggiare, nella maggioranza dei casi, in vetture mal protette o addirittura allo scoperto.

Infine la terza zona della stazione, appena distaccata dalla precedente, era costituita da altri due corpi di fabbrica, anch’essi simmetrici rispetto al fascio dei binari, adibiti a rimesse per macchine locomotive, deposito attrezzi, deposito carbone e ad officine per la riparazione dei rotabili. Dette officine comprendevano i reparti riparazione, montaggio, caldareria e forge nonché i laboratori di torneria, foratura, piallatura e varie i cui macchinari provenivano, per la gran parte, dalle officine meccaniche di Sir Joseph Whitworth di Manchester.

L’accesso a questi locali avveniva immettendo i rotabili, tramite un deviatoio, in due binari di manovra paralleli al fascio principale e muniti di piattaforme girevoli in corrispondenza di ciascun ingresso. I materiali edili impiegati per la realizzazione dei fabbricati provenivano dalle cave di tufo giallo dei rioni Stella e Sanità.

Ritornando alla stazione, lo schema adottato nella planimetria racchiudeva i concetti fondamentali di una stazione di testa e senz’altro si dimostrò funzionale, tanto da essere ripreso dall’ingegnere Clemente Fonseca nel 1842 e, più tardi nel 1860, dall’architetto Enrico Alvino per la nuova stazione di Napoli - Piazza Garibaldi - pur con gli opportuni adattamenti suggeriti dal progresso.

Così si presentava la stazione nel periodo seguente l’entrata in servizio della ferrovia e fino a tutto il 1842.

 

 

 

Sezione longitudinale e prospetto posteriore della stazione di Napoli della Ferrovia Bayard.

Ricostruzione eseguita dall'arch. Faina in base a rilievi eseguiti dagli autori.

 

In quell’epoca, in concomitanza con la sistemazione dell’antistante via dei fossi, il Bayard, secondo gli accordi intercorsi con il capitano Fonseca, direttore della Regia Strada Ferrata, ed il cavalier Giura, responsabile dell’ampliamento e dell’abbellimento della citata via, fu sollecitato più volte ad abbattere le due casette adibite a biglietterie che costituivano ostacolo all’allargamento della strada medesima. Inoltre gli fu imposto di presentare il previsto prospetto dell’erigenda nuova fabbrica e di provvedere alla collocazione delle fondamenta della sua facciata. Per l’abbattimento delle casette e per l’occupazione di una piccola parte di suolo il Bayard fu risarcito con 1.000 ducati. Salvatore Fergola nel raffigurare la cerimonia dell’inaugurazione della Regia Strada Ferrata da Napoli a Casetta, avvenuta l’11 dicembre 1843, ha marginalmente riprodotto la stazione del Bayard vista dalla parte posteriore. Questa immagine costituisce un’importante testimonianza utile per collocare nel tempo la data di ultimazione dei lavori e, insieme ad un’incisione del Lucioni, un prezioso ausilio per la ricostruzione architettonica dell’edificio.

 

 

L'incisione eseguita dal Lucioni mostra la via de' Fossi dopo la sistemazione.

Sono chiaramente visibili le due stazioni, quella in primo piano del Bayard

e quella della regia Strada Ferrata per Caserta.

 

Il suo prospetto, ispirato vagamente allo stile rinascimentale, era stato portato sulla via dei fossi mediante un corpo di fabbrica a due piani, con pianta a forma di U, le cui ali erano state collegate con un filare di archi al preesistente fabbricato viaggiatori. Nell’area della stazione, oltre agli uffici dell’Amministrazione ai quali era stato riservato il primo piano dell’edificio principale, trovavano sede quattro alloggi, non previsti dalla convenzione, riservati a personale che doveva essere prontamente reperibile per il buon andamento del servizio e cioè il capo meccanico, il responsabile della riparazione di vetture e carri, il capo delle officine ed il guardiano dei magazzini. L’accesso dalla strada avveniva attraverso tre archi, sovrastati da una balconata ricavata sull’architrave sorretta da caratteristiche colonne in laterizio intonacato e semincassate nel muro. Di qui entravano i passeggeri di prima e seconda classe che, dopo una breve scalinata, raggiungevano le rispettive sale d’intertenimento (ubicate nel preesistente fabbricato viaggiatori) attraverso i due filari di archi coperti visibili nel già citato quadro del Fergola. I passeggeri di terza classe entravano da un cancello laterale senza attraversare il vestibolo della stazione; in tal modo era assicurata la suddivisione in classi. Il percorso per l’uscita prevedeva il passaggio dinanzi agli uffici doganali. Ogni viaggiatore doveva munirsi di documento di viaggio prima di accedere all’interno della stazione, pertanto a piano terra, ai lati delle entrate, finestre protette da grate in ferro erano adibite a biglietteria: la particolare sagomatura della parte inferiore dell’inferriata consentiva lo scambio di biglietti e denaro a norma di una disposizione della Società prescrivente per questi locali una tale protezione. Una colorita descrizione di Emmanuele Bidera ci offre un’immagine piacevolissima di una partenza in ferrovia per Castellammare:

 

... io mi diedi ad osservare quel luogo che chiamasi stazione. La prima classe, con tutta l’eleganza con la quale è messa, era quasi deserta: tre o quattro signori, l’uno discosto dall’altro, e tutti taciturni... Offriva la seconda un miscuglio di allegria e serietà: artisti, commessi, letterati, negozianti, che affratellavansi conversando, e si davano bel tempo; e fra questi non era io il secondo. La terza era zeppa di artigiani, contadini, marinari, servi, i quali facevano un vero baccano. Il buon umore dunque si perde salendo e si acquista scendendo. Un acuto fischio seguito dal suono di una campanella rompe il corso delle mie osservazioni: è il convoglio che arriva. Succede un movimento generale, gli annojati mettono un sospiro, i pensatori consumano la presa del tabacco che tengono fra le dita, i galanti si danno a raccogliere gli scialli delle signorine, la gente bassa si carica le spalle delle ceste e dei fardelli; si aprono le porte, e tutti ci affrettiamo a prendere i nostri posti nei rispettivi waggon.

Ecco il segnale della partenza; la macchina si mette in movimento, e per la scossa ognuno saluta involontariamente il suo prospettico compagno di viaggio.

 

Il fumare nella stazione era ... riservato alle sole locomo-tive, ma qualcuno cedeva alla tentazione ed "allumava il sicario" (accendeva il sigaro) trasgredendo alle norme. Un tal fatto, di così poca rilevanza ai nostri giorni, provocò addirittura un’interrogazione ministeriale alla Società (31 maggio 1844) che dovette giustificarsi attribuendo l’accaduto alla momentanea asportazione del divieto affisso in una graticola di ferro a causa dei lavori di imbiancatura delle sale d’aspetto.

Al calar della sera tutta la stazione assumeva un aspetto suggestivo: il fumo delle locomotive, lo stridere delle ruote, il movimento ed il vociare dei passeggeri si fondevano in un unico quadro rischiarato dalla luce soffusa delle lampade ad olio sparse un po’ dovunque. Nicola Vittoria, napoletano, che nell’agosto del ‘45 contava quarantanni, da due anni aveva il posto nella Strada Ferrata col tenue soldo mensile di ducati sette e cinque carlini nella qualità di custode di tutte le sale a dritta ed a sinistra, ed ancora coll’incarico di accendere i fanali interni ed esterni delle carrozze della stazione di Napoli, col munirli d’oglio a conto suo.

Sera dopo sera don Nicola vedeva nascere l’adiacente Regia Stazione ed un bel giorno, vantando la maturata esperienza presso la ferrovia del Bayard, pensò bene che un lavoro nell’Amministrazione dello Stato poteva garantirgli un futuro più sicuro e fu così che indirizzò una richiesta di assunzione per qualsiasi incarico. Forse non ottenne quanto si aspettava ma il foglio di carta da lui con fatica redatto gli ha almeno assicurato un posticino nella storia.

 

 

Modello in scala 1:87 della stazione del Bayard eseguito da A. Gamboni.

 

Il declino della stazione cominciò con l’entrata in esercizio del nuovo complesso di piazza Garibaldi voluto dal subentrato Regno d’Italia. Uno studio delle diverse utilizzazioni avute dallo stabile fino al suo bombardamento, avvenuto durante l’ultima guerra, esula dall’argomento di quest’opera. Per brevità ricordiamo che il complesso, dagli anni ‘20 e fino al 1943, fu "incastonato" nella struttura in cemento armato del Teatro Italia ad uso del Dopolavoro Ferroviario. Gli spazi a disposizione furono utilizzati in modo molto razionale: il corpo di via dei fossi costituì l’atrio con biglietteria e guardaroba, il primitivo corpo di fabbrica accolse i camerini e locali vari di servizio per il personale di scena. Al centro, un palcoscenico bifronte veniva utilizzato da due platee contrapposte (una estiva e l’altra invernale) ubicate nella vecchia sede dei binari.

 

 

L'edificio della stazione, diventato ingresso principale del "Teatro Italia",

come appariva nel marzo del 1943 dopo l'esplosione di una nave nel vicino Porto.

 

 

In tempi più vicini a noi e fino agli anni ‘60 è stato utilizzato come arena essendosi salvati dal bombardamento il palcoscenico e la platea estiva. Alla fine del 1980, dopo il terremoto del 23 novembre, il rudere è stato rilevato dal Comune di Napoli, avendo ospitato fino a poco prima la sede del Dopolavoro delle Ferrovie dello Stato.

 

Le immagini che corredano il presente articolo appartengono alla Collezione "A. Gamboni"

 

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estratto da: "Napoli-Portici, la prima ferrovia d'Italia - 1839" di A. Gamboni e P. Neri

volume edito nel dicembre 1987 per il 150-ario della Ferrovia