di Gennaro Fiorentino

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Per quanto ne so, esiste un solo  lungometraggio dove sono state lasciate delle tracce filmate della ferrovia Piedimonte Alife. Si tratta del film “Napoli, sole mio”, interpretato da uno stuolo di attori e caratteristi che, per la loro bravura, hanno contribuito nel tempo a scrivere la storia del cinema italiano. Ciò, insieme a numerosi altri requisiti, conferisce al film un apprezzabile interesse al di là del suo modesto valore artistico.

Uscì nelle sale nel 1958, caratterizzato dai canoni che distinsero molte opere di quel periodo: genere musicale, ambientazione a Napoli, filmato su schermo panoramico ma in bianco e nero, attori in voga a quei tempi, una storia già vista dell’amore contrastato e del povero diavolo che acquisisce fama e danaro grazie ad una bella voce. Il regista che lo diresse fu Giorgio Simonelli (1901-1966), un discreto artigiano che dopo aver solcato i mari di molti generi popolari, approdò presso la coppia Franco e Ciccio, dei quali diresse tanti film che conclusero la sua lunga  filmografia.

La trama del film in questione è, come detto, davvero esile e tutt’altro che originale.

       

Gli spartiti delle musiche del film: Napule, sole mio, cantata da G. Rondinella, si classificò 3a ex aequo al V Festival

della Canzone Napoletana, mentre 'O treno d' 'a fantasia, cantata da G. Christian,  fu tra le finaliste (Coll. Argal).

 

La Trama del Film

Matilde (Titina De Filippo 1898-1963, coautrice della sceneggiatura), una signora benestante proprietaria di terre e di un bel palazzotto in quel di Piedimonte, è desiderosa di assicurare un buon matrimonio alla figlia Lorella (Lorella De Luca 1940). Per questo motivo la invia a Napoli con un pretesto presso ricchi parenti, dove avrebbe dovuto conoscere, non tanto per caso, un giovane ma bruttino medico (Enzo Garinei 1926). Per un disguido, il suo cugino non riesce a pervenire alla stazione in tempo per assicurare alla giovane provincialotta un passaggio in tutta sicurezza. La povera e spaesata Lorella, ghermita dall’incognito della metropoli, finirà con l’accettare il passaggio in Lambretta da Michele (Maurizio Arena 1933-1979, povero ma bello anche in questa pellicola), di cui fatalmente s’innamorerà e che vorrà sposare.

L’amore è cieco e pertanto a nulla varranno i dinieghi della mamma Matilde che si faranno ancora più intransigenti quando scoprirà che il futuro sposo e la sua famiglia si dibattono in uno stato di indigenza e di modestia sociale. Il matrimonio sarà celebrato comunque. Il conseguimento della fama e del successo di Michele come cantante (in realtà la voce fu doppiata dall’ottimo artista Ferruccio Tagliavini) non riuscirà ad abbattere il muro di pregiudizio dell’irremovibile vecchia mamma. Solo la nascita di una nipotina, alla quale senza rancore gli sposi daranno il nome di Matilde come la nonna, potrà sciogliere il ghiaccio e riportare l’armonia in famiglia.

Un film tutto sommato piacevole, come se ne facevano una volta. Gl’interpreti principali citati erano affiancati da uno stuolo di bravi caratteristi che di certo contribuirono alla buona riuscita dell’impianto. Ci piace ricordare, prima fra tutti, l’indimenticata Tina Pica nel ruolo della vecchia governante. E poi Virgilio Riento, Ferruccio Amendola (noto altresì come doppiatore, nonché papà di Claudio), Clelia Matania, Enzo Turco (purtroppo doppiato), Mario Passante.

 

I treni

La presenza di scene ferroviarie in questa pellicola appare quanto mai interessante anche se, per certi versi, bizzarra e ciò per i motivi che vado ad esporre.

All’inizio del film la giovane Lorella viene accompagnata dal calessino del fattore a prendere il treno da Piedimonte verso Napoli. Ed ecco che sullo schermo appare un bel convoglio della Circumvesuviana che nulla ha in comune con la ferrovia Piedimonte se non lo scartamento, in partenza da Meta verso ... Sorrento. Nell’inquadratura seguente e ripreso da un ponte, vi è ancora un treno della Circum, sempre verso Sorrento ma trainato da un locomotore.

Il convoglio della Circumvesuviana nella stazione di Meta ed in partenza verso Sorrento.

Ancora un convoglio della Circumvesuviana in marcia verso Sorrento.

Questa famiglia di mezzi di trazione costituita da 5 esemplari (0301-0305), fu costruita negli anni ’30 dalla industria italo svizzera TIBB. Il prototipo (0301) vide la luce nello stabilimento di Baden tant’è che assunse quello stile vagamente svizzero che sarebbe stato conservato anche dai fratelli genuinamente italiani essendo stati costruiti a Vado Ligure. Per altri dettagli tecnici rimando a pubblicazioni specifiche. Tuttavia va detto che essi trovarono impiego sulla Napoli-Baiano e solo sporadicamente sulla linea di Sorrento. Quindi questa immagine appare come un evento eccezionale.  

Intanto all’interno di un convoglio, in realtà senza storia trattandosi di un ambiente palesemente ricostruito, si svolge un piccolo siparietto con la “nostra”.  Lorella cerca di sottrarsi agli assalti di impetuosi pappagalli partenopei mentre dalla moderna radio portatile a transistor di un passeggero, viene trasmessa una canzoncina tematica “O’ treno d’à fantasia” cantata da Gloria Christian che con essa arrivò in finale nel V festival della canzone napoletana, edizione 1957. 

Prima di lasciare la costiera, ancora un convoglio della ferrovia avorio e rosso, compare sullo schermo. Questa volta mentre attraversa il monumentale ponte di Seiano ma  con coerenza orientato verso Napoli.

Treno della Circumvesuviana sul monumentale ponte di Seiano.

Dopo queste divagazioni ferroviarie, Lorella arriva a Napoli e finalmente alla stazione della Piedimonte Alife, posta a quei tempi, sulla via Don Bosco in una struttura precaria, presso quello che era stato lo scalo merci. Infatti per adempiere alle prescrizioni del Municipio di Napoli, per motivi legati alla viabilità, il 26 Marzo 1956 veniva abbandonata la bella stazione di piazza Carlo III. Il terminale veniva portato a circa 1 km più su in una struttura rimediata con la prospettiva, ma direi l’illusione, che il treno sarebbe ritornato al terminale originale, utilizzando un collegamento sotterraneo. Ciò non avvenne mai.

L’elettromotrice dalla quale scende la nostra eroina è la numero 2 mentre viene inquadrata anche la struttura “provvisoria” della stazione con le pensiline in tubi Innocenti. Sul frontale della macchina appare anche un cartello di linea, palesemente posticcio se non per motivi legati alla sceneggiatura.

La nostra passeggera si guarda intorno spaesata mentre per magia cinematografica, l’elettromotrice diventa la carrozza di coda di un convoglio in partenza.

Treno della Ferrovia Alifana in sosta alla stazione di via Don Bosco.

Per magia cinematografica, l’elettromotrice dell'immagine precedente

è divenuta la carrozza di coda di un convoglio in partenza.

Altri motivi di interesse

Agli appassionati di trasporti, e non solo, volevo altresì far notare altri motivi d’interesse che sono offerti da ulteriori sequenze del film.

Il cugino di Lorella, Sandro, mentre si reca alla stazione di Via Don Bosco con la sua Fiat 600, ha un piccolo incidente d’auto con un tassista che gli impedirà di giungere in tempo per prelevare la cugina. Ebbene mentre discute con un vigile urbano e con il tassista coinvolto, circa le responsabilità, lo spettatore attento potrà notare un’interessante sfilata di mezzi pubblici dell’epoca con l’austero sfondo dell’Albergo dei Poveri in piazza Carlo III. Il caso ha voluto che in questa passerella venisse anche incluso nell’obiettivo il Fiat 680 Viberti con rimorchio, che assicurava la navetta tra piazza Garibaldi e la “nuova” stazione alifana.

L’obiettivo della cinepresa ha colto, forse senza volerlo, il Fiat 680 Viberti con rimorchio

che assicurava la navetta tra piazza Garibaldi e la “nuova” stazione dell'Alifana.

Un frame a colori tratto dal film “La baia di Napoli” ci dà un’idea della localizzazione
della pensilina posta in piazza Garibaldi per accogliere questi autobus che effettuavano il servizio integrativo.

Alla stazione di Napoli-Don Bosco, i protagonisti Michele e Lorella si intrattengono in un breve colloquio mentre una sbirciatina sul Corso Malta, ci consente di vedere una vettura filoviaria della linea 231 (Malta-Diaz) al capolinea presso la storica Centrale del Latte.

Una vettura filoviaria della linea 231 al capolinea del Corso Malta, presso la storica Centrale del Latte.

In maniera inaspettata la giovane provinciale accetta il passaggio del napoletano in Lambretta che la conduce attraverso le strade cittadine verso la residenza dei parenti. Durante la passeggiata, si vedono alcune vedute della città com’era all’epoca. Nell’immagine mostrata, uno scorcio di Piazza Trieste e Trento con un moderno bus Aerfer 401 in prospettiva. Infine una sosta imprevista, li conduce nella villa Comunale dove vigeva un vasto Luna Park, che nel 1965 sarebbe stato traslocato a Fuorigrotta, dando origine ad Edenlandia.

Scorcio di Piazza Trieste e Trento con sullo sfondo un bus Aerfer 401.

Ebbene quale migliore mezzo di congedarci da questa chiacchierata se non mostrando per concludere un mezzo ferroviario? Si tratta del famoso trenino trainato dalla non meno famosa locomotiva Genoa che avrebbe avuto maggiori momenti di gloria, nell’impianto stabile di Edenlandia di lì a qualche anno.

 

Il "Trenino di Edenlandia" mentre attraversa un accampamento indiano.

Paisanella ca tutt’ ‘e matine

piglie ‘o treno d’ ‘e sette e diece…

di Luigi Fiorentino

In una bellissima ed azzurra giornata di un marzo, reduce da uno sciopero scolastico, mi ritrovai a passeggiare fra negozietti e bancarelle di Porta Capuana, con Mara, graziosa e riservata studentessa del liceo Garibaldi di Napoli.

Il tempo passò veloce ed all’orario di partenza l’accompagnai in Piazza Carlo III dove c’era lo scalo del treno che ogni giorno la portava in città dalla provincia di Caserta.

In un angolo di questo maestoso spazio cittadino, sorgeva un grazioso fabbricatino grigio e rosa che allocava il fabbricato viaggiatori della Ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife.

I suoi servizi essenziali: l’ufficio movimento e capostazione, la biglietteria con sala d’aspetto ed il deposito bagagli, erano sistemati in fila nei locali che si aprivano sul marciapiede; l’ultimo vano era riservato ad un piccolo caffè ristoratore la cui macchina espresso inondava l’aria di vapore dal vago sapore di cappuccino.

Prospicienti gli uffici erano presenti due binari, dove sostavano i treni viaggiatori. Le modeste carrozze dei convogli erano fornite all’interno di sedili di legno, di porte e finestrini che funzionavano solo manualmente. I vestiboli d’ingresso agli scompartimenti, posti su alti scalini, erano protetti solo da precari cancelletti di ferro. Questo permetteva ai viaggiatori di salire e scendere in assoluta libertà. Ogni convoglio in partenza, attraversando la piazza a velocità ridotta per cautela, consentiva a numerosi ragazzi del vicino borgo di Sant’Antonio Abate di rincorrere i treni ed attaccarsi per divertimento alle carrozze, fra il timore e l’ilarità dei viaggiatori.

Napoli, Piazza Carlo III: la stazione del capolinea della Ferrovia Alifana.

Oggi, il fabbricato è stato trasformato in Albergo (Foto Ruggieri).

Sullo staffone della motrice di testa viaggiava un addetto della stazione che, con gli squilli di una trombetta e lo sventolio frenetico di una banderuola rossa, fermava il traffico di carretti, pedoni ed auto, che in quel tratto interferivano con i binari ferroviari. Ciò doveva servire ad agevolare il procedere del convoglio e prevenire spiacevoli incidenti. Accadeva poi che i treni in arrivo, attraversando con lentezza la lunga e spaziosa piazza prima di arrestare la loro corsa in stazione, consentivano a molti audaci e frettolosi passeggeri di saltare giù dai vagoni ancora in movimento, concludendo sovente le loro acrobazie con spettacolari e rovinose cadute.

A queste mie personali osservazioni della ferrovia, Mara che se ne serviva ogni giorno per recarsi a scuola, aggiunse le sue lamentele per l’insufficienza di posti a sedere, per i ritardi smisurati e talvolta per la cancellazione improvvisa di qualche corsa. Pertanto non ci fu grande sorpresa quando, quel giorno, apprendemmo che la corsa pomeridiana era stata spostata presso lo scalo merci posto sulla salita di Via Don Bosco. Più tardi scoprimmo che lo spostamento era affatto occasionale, ma rappresentava una novità in pratica definitiva.

Questa nuova stazione di testa si apriva su un grande e squallido terrapieno che disponeva di un paio di capannoni in muratura, una fontanella il cui getto fuori misura creava chiazze di acqua e fango; una lunga pensilina in lamiera, appoggiata su tubi Innocenti fra i due binari, serviva con precarietà a proteggere i viaggiatori in attesa dalle intemperie. Un poco più in là, sostavano alcuni carri merce abbandonati. Tutt’intorno si apriva una bellissima campagna piena di verde e con una vista totale e spettacolare sul golfo di Napoli.  

Il trenino della Ferrovia Alifana nella stazione di Giugliano (Foto H. Rohrer).

Il treno non era ancora arrivato e nell’attesa scendemmo alcune balze di quella bella campagna. Per riposarci ci sedemmo su due pietre poste lì come due sediolini di una sala d’attesa. Dopo esserci divise una piccola colazione che aveva Mara ed una sigaretta nazionale che avevo io, la ragazza che non aveva mai perso quella sua aria seria ed infastidita, incominciò a parlarmi come ad un vecchio amico.

Mi raccontò della sua famiglia che viveva di agricoltura in una masseria posta tra San Tammaro e la frazione di Carditello; del suo grande desiderio di continuare gli studi dopo il liceo, di laurearsi e vivere in città. Ai genitori, estremamente condizionati dalla mentalità mediocre del paese, non perdonava di averla chiamata Tammara in onore del Santo Patrono locale, di vietarle di indossare i pantaloni e di fumare qualche sigaretta.

Presi coraggio e raccontai delle difficoltà nel frequentare la mia scuola, dei difficili rapporti con i miei genitori e del mio grande desiderio di lavorare subito. Conclusi dicendole che anch’io avevo un nome, Pasquale, poco gradito. Mi era stato imposto per far piacere ad un noioso zio senza figli.

In poco tempo si instaurò fra di noi un bellissimo clima cameratesco di appartenenza generazionale. Ci sentimmo eroi vicini e solidali che lottavano come tutti i giovani, contro le incomprensioni di una società vecchia ed arretrata.

Proprio quando in quel momento nasceva fra di noi un’amicizia non sentimentale ma fatta di bei sentimenti condivisi, il silenzio della campagna fu rotto dal fischio del treno che si apprestava a partire verso Piedimonte. Appena il tempo di un sincero arrivederci ed il lungo ed affollato convoglio si mosse; prima lentamente, poi avanzò deciso verso la piccola galleria scomparendo definitivamente.

Epilogo:

La Ferrovia Alifana dopo vari arretramenti scomparve per sempre nel 1976.

Mara, la ragazza, si laureò nel 1963 in chimica. Fu presto assunta nel CNR vincendo nel 1975 un premio per la sua ricerca sulle plastiche industriali.

Pasquale, la voce narrante, restò un romantico, visse una vita di lavoro ed una volta in pensione si convinse ancora di più, che il lavoro sia il migliore dei passatempi.

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